L’Italia spende, secondo la stima ufficiale della Nato, per le spese militari, ogni anno, circa 25 miliardi di euro. E’ l’ottavo paese al mondo come spese militari, lontani da paesi di tradizione guerrafondaia come la Gran Bretagna (3°) o la Francia (4°), ma comunque in buona posizione. Ma la NATO ci chiede di più, per fronteggiare il pericolo del terrorismo e dei paesi canaglia, ragione per cui il governo si dovrà adeguare a queste richieste internazionali e aumentare ancora le spese militari.
Venticinque miliardi di euro, di cui molte centinaia di milioni di euro spesi annualmente solo negli oltre dieci anni di guerra in Iraq. Una guerra, condotta per ragioni ancora non del tutto chiare, se non quella generica di natura geopolitica che è una costante nei paesi petroliferi, che ha provocato, solo per morte violenta, oltre un milione di morti.
Solo i soldati americani morti, oltre quattromila, superano quelli dell’attentato delle Torri Gemelle.
Ma ai morti violenti occorre aggiungere i morti indiretti, per fame, carestie, malattie. Sono, è stato calcolato, diversi milioni. Si parla addirittura di cinque milioni di morti tra la popolazione civile, soprattutto bambini.
Ecco, l’Italia spende, ogni anno parecchie centinaia di milioni di euro per andare, nel consesso del mondo occidentale, a devastare una nazione che, per quanto a suo tempo dittatoriale, conduceva una vita tutto sommato stabile.
E l’Isis, all’epoca, non esisteva. Il fondamentalismo islamico, in Iraq, prima della guerra, era contenuto. Ora è esploso e si sta diffondendo, a macchia d’olio, da quel paese.
In quella che è la tipica ipocrisia dell’Occidente, che non risparmia il paese del Papa, fa più notizia la spesa, si parla di dodici milioni di euro per la liberazione di due ragazze di vent’anni rapite dai fondamentalisti, che i miliardi spesi per andare il Libia, in Iraq, in Afghanistan, a portare, di fatto, la morte, la distruzione, la fame.
La nostra società occidentale è diventata talmente egoistica ed ipocrita che si indigna di più per salvare le vite umane che per ucciderle.
Oggi ci si interroga se è giusto che in Nigeria le notizie della strage di civili inermi operata dai soliti fondamentalisti islamici, mostri usciti fuori dai disordini, come ormai è costante storica, provocati dagli squallidi interessi occidentali, abbia meno risalto dei morti francesi.
Eppure quelli sono migliaia, questi sono decine.
Ma nessuno si interroga più sui morti che provochiamo noi. Sui morti “nostri”, intesi come provocati dagli eserciti occidentali, anche se sono a milioni, è calata una cappa impressionante di silenzio. Per restare nello straniante argomento di questi giorni, in questo assurdo e forzoso “scontro” di civiltà, i morti che “noi” cristiani provochiamo agli islamici sono in numero incommensurabilmente maggiore.
Ma questo silenzio della stampa sui morti in Iraq, in Afghanistan, in Libia, e anche in Siria (dove la situazione è diversa e più subdola, con gli occidentali che sostengono i pseudo-ribelli fondamentalisti per rovesciare lo stato canaglia siriano) conduce una opinione pubblica manipolata a non cogliere più il nesso causale della cose. Per forza che oggi si tende a credere che quelle guerre, in fin dei conti, sono cose che non ci riguardino.
Ma è bene ricordare che la cooperazione internazionale non è solo una attività umanitaria, ma è anche dovuta per precise convenzioni internazionali che prevedono la destinazione di una parte del budget per la ricostruzione di paesi distrutti dalle guerra.
Ma in realtà è in atto la sistematica accentuazione della faglia culturale, con il distacco, anche emotivo, tra “noi” e “loro”. Ragione per cui chi va ad aiutare “loro”, si tende ad escluderlo dalla comunità di origine. Le due volontarie, in questo gioco di potere che tende a fratturare sempre di più l’umanità per scontri, ormai sono reiette, esule.
Gli sforzi successivi all’orrore delle due guerre mondiali, della carneficina delle trincee e della guerra lampo, dei campi di sterminio e delle bombe atomiche, di creare un mondo correlato, che se non potesse essere unito avesse almeno una parvenza collaborativa, si schianta sull’avidità di una economia vorace e avida che, nel momento di crisi, impazzisce cieca alla ricerca di risorse e di mercati.
Vero è che non appare logico pagare dei riscatti ai fondamentalisti, che significherebbe, di fatto, finanziarli.
Tuttavia ciò che accade in quelle zone grigie, dove si incontrano i servizi segreti dei paesi occidentali e i ribelli che destabilizzano quei paesi che di quell’Occidente sono nemici, è un po’ complicato da mettere in luce. La storia ci racconta, come è stato in Afghanistan con il sostegno dato ai Talebani, che quella zona grigia è piuttosto scabrosa. Il finanziamento fornito a quei ribelli fondamentalisti appartiene, pertanto, a questo campo di ombre grigie e oscure.
La salvezza di due giovani vite umane, invece, comunque ottenuta, appartiene all’abilità resistenziale del sentimento, a quel “restiamo umani” ormai proverbiale.
Specie nel “nostro” mondo che inasprisce il sentimento di orrore per le proprie morti ma perde, sempre di più, nella più terribile indifferenza, il senso di orrore per le morti degli altri e abbandona, al suo destino, anime dedite alla solidarietà come se fosse il peggiore dei peccati.
Alla faccia del crocifisso che costoro tanto sbandierano e della solidarietà cristiana.
(foto Unicef)
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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