Ho votato sì e ho perso di brutto. Ho creduto si potesse riformare, seguendo le regole della Costituzione antifascista, un bicameralismo (e altro) che non ritengo di per sé antifascista. E ho perso. Ha vinto il no, in un modo che lascia poco spazio a interpretazioni.
È stata una campagna brutta. La tensione era alle stelle, ogni parola sembrava un insulto e scatenava immediatamente parole più pesanti. Come molti, anche del “no”, non vedevo l’ora che finisse.
La cosa più sgradevole è stata il continuo equivocare sulla natura fascista o antifascista del voto. Io per primo, pur cercando di non banalizzare, di non scadere nei sillogismi di chi fa di ogni erba un fascio, ho contribuito ad alimentare le fiamme di questo equivoco mentre altri, arrabbiati, leggevano nelle mie parole cose che non c’erano e non ci potevano essere.
Non si può dire “chi vota no è come Casapound” né “chi vota sì è come De Luca”, ma di fatto, passava solo questo messaggio. Indicare che Salvini si sarebbe intestato la vittoria e che non era il caso di dargliela vinta, è stato scambiato per un’accusa di fascioleghismo. Si sarebbe dovuto specificare meglio, distinguere meglio tra “motivazioni del voto” e “conseguenze del voto”. Associare un vecchio compagno comunista a Brunetta, per me, non poteva significare “sei berlusconiano”. Ho provato a comunicare meglio cosa intendevo, cioè: “se voti come Brunetta fai un favore a Brunetta”. Ma mi è stato risposto “e tu perché voti come Verdini?” e il filo del discorso si è imbrogliato di nuovo.
È stato un referendum fortemente politico, ed è giusto così, perché non si può chiedere al popolo di fare “il tecnico”. Se si interpella l’elettorato, questo può dare solo risposte politiche. E d’altra parte le riforme sono uno dei temi più politici che esistano. Questa legislatura era nata con l’obiettivo di fare le riforme e solo con questo obiettivo il Parlamento era uscito dallo stallo in cui si era trovato, prima che Napolitano accettasse un secondo mandato. La “personalizzazione” di Renzi è stata un’aggravante, ma il referendum era, per sua natura, politico. La domanda era “si o no a questa riforma?”. Le motivazioni e le sfumature erano infinite, ma le risposte erano solo due: si e no. E la risposta è stata “no”.
“No” a chi ha proposto la riforma, innanzitutto; ma siccome la politica italiana ha tempi lunghissimi, la conseguenza del no sarà anche “no alle riforme”, specialmente dalle parti della sinistra. E purtroppo le motivazioni incideranno poco. Le motivazioni sono personali, e ognuno aveva le sue. Le conseguenze invece sono pubbliche e vanno riconosciute e applicate. Lo sapevano i Grillini, lo sapeva la Lega, lo sapeva anche l’estrema destra e lo sapevano soprattutto la minoranza PD e le altre sigle del centrosinistra, che la prima conseguenza del “no” sarebbe stata la caduta del Governo. E quando l’unico vero padrone di casa, l’elettorato, ha dato il suo verdetto, il Governo è caduto. Qualcuno ora rimprovera Renzi perché si è dimesso. Di solito ci si lamenta perché i politici non si dimettono. Renzi invece ha fatto l’unica cosa che poteva fare: prendere atto che gli italiani sono ostili al suo Governo, e fare un passo indietro.
Come al solito, di fronte a una grande vittoria festeggiano in tanti. È giusto, quando si vince.
Qualcuno ha vinto l’orsacchiotto, qualcuno ha vinto un viaggio, qualcuno ha vinto una Ferrari, ma quasi tutti quelli che hanno vinto, ora sono contenti, perché hanno vinto.
Nella vita l’importante è sapersi accontentare.
Io ho perso.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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