Un paio di settimane fa lo storico Alessandro Barbero ha rilasciato un’intervista a Diego Bianchi di Propaganda Live. Di quella chiacchierata sul mondo, un passo mi è rimasto impresso, fin quasi a farmi paura.
Barbero ha ammesso che da qualche tempo a questa parte ha un certo timore a rilasciare dichiarazioni pubbliche, essendo rimasto scottato dalle reazioni isteriche seguite ad alcune sue osservazioni fuori dal coro.
Si riferiva all’opinione sulla predisposizione strutturale delle donne alla politica, punto di vista pienamente rispettabile e per nulla sessista, come tanta gente ha voluto far credere nel tentativo di delegittimare Barbero.
Barbero non possiede neppure un profilo sui social network. Ma la valanga di insulti e critiche piovutagli addosso lo ha spaventato, suggerendogli di centellinare le esternazioni. E a me fa paura l’idea che un brillante divulgatore storico debba tacere per paura degli invasati di Facebook, sapendo che è sempre più rischioso dire ciò che si pensa uscendo dalla banale sicurezza dei luoghi comuni.
Il colloquio tra Barbero e Bianchi è avvenuto quando già c’erano preoccupazioni per le tensioni tra Ucraina e Russia, ma quando la prospettiva della guerra sembrava ancora remota.
Ricordate?
Erano i giorni in cui Marco Travaglio si diceva colpito dalla strategia del “al lupo! al lupo!” messa in atto dagli americani, con ciò intendendo che, secondo lui, non c’era mica da temere la terza guerra mondiale!
Erano i giorni in cui Alessandro Di Battista confermava la sua fiducia nel buon senso di Putin e si diceva convinto che nessuna invasione sarebbe avvenuta.
Erano però anche i giorni in cui una gran varietà di esperti di geopolitica segnalava l’anormalità dei 180 mila soldati russi schierati al confine con l’Ucraina, mobilitazione che le autorità di Mosca spiegavano come semplice esercitazione. Ma buona parte dei commentatori italiani, specie quelli più spostati a sinistra, si facevano beffe di chi prendeva sul serio la minaccia: “Tutta propaganda occidentale”, ripetevano, imputando ingenuità e faciloneria a chi, al contrario, tanto tranquillo non era.
Il vecchio antiatlantismo epilettico dominava la scena, assieme alla convinzione che mai gli americani possano avere ragione.
Poi la guerra è arrivata. Ma anche dopo l’invasione e i bombardamenti, anche dopo una inequivocabile e oggettiva aggressione, quell’area di opinione ha continuato a ritenere responsabile del disastro un’entità indistinta comunemente definita “occidente”, insistendo nel cercare attenuanti o giustificazioni che alleggerissero la posizione di Putin.
E allora mi sono tornate in mente le paure di Barbero.
Perché in questo tentativo postideologico di mescolare le carte, bisogna persino ricorrere al coraggio per ribadire la più ovvia delle verità. E cioè che il responsabile di questa aggressione criminale si chiama Putin e la vittima si chiama Ucraina. E nessuna responsabilità dell’indistinta entità detta Occidente potrà mai spiegare un deliberato atto di guerra e il tentativo di schiacciare uno Stato sovrano che ha tutto il diritto di esistere e difendersi.
Non può minimamente giustificare neppure l’idea perversa secondo cui un popolo debba rassegnarsi ad avere l’unica funzione di Stato cuscinetto. E che le sue volontà debbano soggiacere ai vecchi schemi delle zone d’influenza.
La protervia dell’Occidente non può spiegare le limitazioni alla libertà di manifestare e la censura ai mezzi di stampa ordinata dalle autorità russe, anche se qualcuno la censura preferisce cercarla e vederla nei nostri organi di informazione.
Provai rabbia quando George Bush e Dick Cheney s’inventarono il pretesto della pistola fumante per invadere l’Iraq.
Non ero ancora nato, ma dai libri di storia ho imparato quando la Cia sia stata determinante nel golpe di Pinochet in Cile e nel sacrificio di Allende.
Sappiamo bene quale ruolo ebbero gli Stati Uniti in tanti misteri d’Italia, ai tempi della strategia della tensione.
Ho sempre ritenuto scandaloso l’atto di prevaricazione con cui gli americani imposero la base militare a La Maddalena. E l’elenco sarebbe ancora lunghissimo, a partire dal Vietnam.
Ma l’imperialismo americano e l’arroganza di chi si è dato il ruolo di poliziotto del mondo non possono spiegare tutto e sempre. Non possono essere una scusante per ciò che sta avvenendo ora.
Ogni tanto bisogna avere il coraggio di assumere posizioni nette, anche sapendo che la complessità delle cose ha molte sfumature e mai si risolve nel bianco e nel nero.
Tutta l’angoscia che stiamo vivendo si chiama Putin.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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