Ve la regalo come la canzone dell’estate in assoluto. Perché, e vero, ognuno di noi ha nei cassetti dei propri ricordi un testo, una strofa, un ritornello che lo accompagna nei mesi estivi e ameni, in quei giorni dolci e umidi, in quei luoghi disegnati tra le montagne e il mare. Ma questa, giuro, è la canzone dell’estate per sempre e da sempre. Sono gli accordi che tutti conoscono quando si strimpella la chitarra e sono parole che tutti ricordano a memoria: la canzone del sole di Lucio Battisti. Quando partono le prime note tutti la riconoscono e tutti, da subito, la cantano. Alzi la mano chi non lo ha mai fatto: dalle bionde trecce a mare nero c’è passata la nostra adolescenza, quella dei nostri amici, dei nostri figli e, probabilmente, anche quella dei nipoti. La canzone del sole è una canzone disarmante: costruita in maniera apparentemente semplice, anche negli accordi per la chitarra. Un ritmo non complesso e le parole giuste che, non raccontano una storia precisa ma hanno dentro il magnetismo giusto che fa di questa canzone semplicemente “la canzone”. Ognuno, poi, quando partono “le bionde trecce e poi” ha un’immagine da sovrapporre: il primo bacio, l’ultimo, un bacio mai dato, una giornata in campeggio, in spiaggia, un falò, una serata terribile a casa, lacrime e tristezza. Le canzoni sono così. Tutti le cantiamo ma ognuno di noi costruisce intorno a loro una declinazione diversa. La canzone del sole è stata per me Roma e piazza Navona. Era il 1984. Estate dolcissima. Giugno. In una trattoria della zona (si chiamava Ecce bombo ma adesso purtroppo è chiusa) compare la chitarra. Ci rechiamo in Piazza Navona a cantare. Tra le tante liriche (compreso un improbabile no potho reposare) esce fuori lei, la canzone dell’estate. E tutto cambia. Eravamo una decina. Si avvicinarono in molti. Anche turisti. Partì un mega karaoke. Tutti cantavano “le sue calzette rosse”. Si guardavano le ragazze e si urlava “e l’innocenza sulle gote tue, due arance ancor più rosse”. Ad un certo punto si continuava con “la cantina buia dove noi, respiravamo piano” e l’immancabile “mare nero chiaro e trasparente” un ossimoro incomprensibile. Però tutto funzionava. Rientrando a casa una mia amica mi chiese: “Ma perché nella cantina buia respiravano piano?”. Non risposi. Raccolsi un fiore da un’aiuola di via del Corso e avvicinandomi le dissi soltanto: “un fiore in bocca può servire sai, più allegro tutto sembra”. La canzone del sole magari non è un capolavoro ma è una splendida lampada di Aladino: strofinandola ci fa ritornare indietro di qualche anno dove “le ombre ed i fantasmi della notte sono alberi e cespugli ancora in fiore, sono gli occhi di una donna ancora pieni d’amore”. Come Roma e come gli anni che sono fuggiti troppo lievemente.
la canzone del sole, Lucio Battisti
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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