Nutro un discreto amore per la musica. Ci vivo e ci ronzo attorno da sempre. E lei vive con me. Una passione coltivata fin da giovanissimo. Avevo due dischi che amavo terribilmente: “Il leprotto Pim pum pam” e “lo scudetto in Sardegna”. Avevo dieci anni e quelle canzoni rappresentavano il mio unico universo canoro. Poi ci fu l’innamoramento per “rose rosse” di Massimo Ranieri e “la fisarmonica” di Gianni Morandi. Sino a quando Antonella, una mia amica con il caschetto, mi fece ascoltare una strana canzone con voce calda e terribilmente musicale: era “il pescatore” di Fabrizio De André. Avevo appena 13 anni e fu una folgorazione. Come trovare la strada giusta per poter continuare. Cominciai a mettere i soldi da parte per acquistare le sue canzoni e quelle di Leonard Cohen. Poi venne De Gregori, Venditti e i Led Zeppelin, i Deep Purple. Nel 1978 ascoltai, per caso (lavoravo in una radio libera, ma libera veramente) una strana canzone. Si chiamava “sfiorivano le viole”: una voce aspra, accattivante, dinoccolata, una voce fatta per essere ascoltata. Le parole camminavano dentro una musica che pareva non esistesse. Quella canzone rappresentava un grande “non-sense”: era Gaber e Jannacci ma anche Cochi e Renato, era De Gregori nei primi accordi, ma anche un pizzico di Corsby, una manciata di Bob Dylan, un gioco assolutamente nuovo e originale. Quella canzone, “Sfiorivano le viole” la cantava un certo Rino Gaetano e l’album aveva un titolo che, da solo, valeva il prezzo del biglietto. “Mio fratello è figlio unico”. Lo acquistai ed imparai le canzoni a memoria. Rino Gaetano cominciò a far parte del mio universo. Per sempre. Oltre la sua assurda morte. Ecco, in questi giorni qualcuno ha citato Rino Gaetano (confondendolo incredibilmente con Mino Reitano) e ha citato una “sua” canzone molto bella: “a mano a mano”. Mi son fermato sull’orlo dell’abisso e mi son guardato dentro. E’ come affermare che l’Aida è una bellissima opera di Toscanini o l’infinito una discreta poesia di Montale. Dio, cara signora, “a mano a mano” è una canzone di Riccardo Cocciante, bella quanto si vuole, ma di Cocciante. Rino Gaetano la cantò dal vivo, per gioco e la cantò molto bene. Tutto qui. Mi è venuto in mente il buon Apicella di Palumbella Rossa quando urla che le parole sono importanti. Anche le canzoni, Apicella, anche le canzoni. Non si può pretendere di governare un paese se si confonde Cocciante con Rino Gaetano o Mino Reitano. Non si può. Diceva Moretti (Nanni, beninteso): “con questa classe dirigente non vinceremo mai.” Aveva a suo modo ragione. Ma anche con questa nuova che confonde Reitano con Gaetano e indica anche una canzone non sua non si farà molto strada. Dite che tra tutte le cose raccontate questa era la meno importante e che sto esagerando? No. I dettagli. Bisogna saper curare i dettagli. Dalle piccole cose si riconosce la grandezza degli uomini. Avesse citato “sfiorivano le viole” mi sarei emozionato. Ho ripreso quel brano e l’ho fatto ripartire nel mio mp3. L’ho cantato a squarciagola soprattutto il pezzo finale che recita: “Sfiorivano le viole, mentre io, aspettavo te”. Ecco, non siamo riusciti a trovarci, eppure Rino Gaetano era un bel partire. I dettagli sono stati tralasciati insieme al peso di altre parole. Parola di Moretti (Nanni però).
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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