Per me ogni incrocio cittadino è una fonte di stress, più l’età avanza più lo stress cresce. Dopo avere girato in paese per fare commissioni – scuola, ufficio postale, supermercato, farmacia – torno a casa con i nervi a fior di pelle, stanco senza avere fatto nulla. Non è un generico logorio da traffico, patologia da cui milioni di italiani sono afflitti. È proprio un’intolleranza al bivio stradale. “Mi innervosiscono i semafori e gli stop”, cantava Franco Battiato: a me innervosiscono gli incroci. Ho cercato di analizzarmi durante una ordinaria seduta di traffico, ho provato a misurare le mie reazioni. Anzitutto, io non smadonno e non inveisco, non pigio sul clacson se qualcuno mi rallenta e provo sempre a contenere le mie incazzature, cosicché la rabbia cresce dentro di me senza possibilità immediata di sfogo. Ma questa è solo una concausa e col tempo ho capito che la causa è un’altra. Provo a descrivervi la situazione. Sono fermo sulla linea dello stop. Ruoto la testa prima a destra e poi a sinistra per capire quando la strada sarà libera e potrò ripartire. Invece, sia a destra sia a sinistra, io non vedo la strada: in primo piano vedo macchine, camion, pullman, furgoni parcheggiati proprio ai limiti del crocevia, ostacoli che impediscono ogni visuale. E allora devo avanzare di qualche centimetro col muso della macchina, allungare il collo il più possibile per cercare di intuire se la strada con diritto di precedenza sia libera o meno. A volte mi affido alla buona sorte e mi butto alla cieca, rischiando il patatrac: io, per giunta, ci vedo poco. Ogni incrocio un brivido, il desiderio di tornare a casa il prima possibile diventa la priorità e il pericolo ti costringe a rivedere gli itinerari, alla ricerca delle intersezioni meno rischiose. Una precisazione importante: quei mezzi che intralciano la visuale non stanno violando il codice della strada, ma stazionano all’interno di regolari parcheggi. Le nostre vie sono diventate, col tempo, piazzali di sosta. Perché? Ogni nuovo condominio ed ogni nuovo centro commerciale dovrebbero prevedere dei parcheggi in proporzione allo spazio occupato. Sono andato a cercare su internet e ho trovato una normativa di fine anni ottanta, la Legge Tognoli: ad ogni 10 metri cubi di costruito dovrebbe corrispondere un metro quadro di parcheggio, ma in caso di insediamenti commerciali il parametro si dimezza e il numero dei parcheggi dovrebbe raddoppiare. Considerate che un veicolo occupa mediamente 25 metri quadri di suolo e che in Italia circolano 22 milioni di veicoli (fonte: Università di Napoli). Quanti costruttori rispettano realmente questa legge? Secondo me sono una minoranza, se no non spiegheremmo le strade trasformate in piazzali di sosta. Il cemento cresce, ogni centimetro cubo edificabile viene sfruttato ma le aree di sosta degne di questo nome restano l’ultimo dei problemi. Il mio torcicollo aumenta, lo stress da incrocio non se ne parla. E chissà per quanti altri come per me. Una pianificazione urbanistica responsabile dovrebbe tenere conto anche di questi aspetti e a chi non si adegui dovrebbe essere impedito di costruire. È una questione di qualità della vita, per noi e per chi verrà dopo di noi. Se vi sembrano sciocchezze, pensate ai pericoli che ogni giorno corre il vostro figlio adolescente quando attraversa un incrocio sul motorino.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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