Il personaggio di oggi si chiama Sfera Ebbasta . Rapper italiano, classe 1992, ieri sera ha tenuto un concerto a La Maddalena. Io ero lì, come molti altri genitori, ai bordi di quel magnetismo che appiccicava sempre più e persone tra loro, man mano che ci si avvicinava al palco. Non accade in tutti i concerti. Ieri un pubblico che normalmente avrebbe occupato mezza piazza (Piazza Umberto I è piuttosto grande), era schiacciato su sé stesso risultando impenetrabile, tipo testuggine. In parte il fenomeno era dovuto alla necessità di riprendere ogni attimo col proprio cellulare, ed era curioso vedere questo tappeto di luci azzurre frapporsi tra le teste e la notte stellata, sostituendo lo spazio che in altri tempi sarebbe stato occupato da accendini o cannoni. A un certo punto ho anche provato ad entrare. Dentro quell’enorme grumo di muscoli e tette si respiravano sudori, lozioni e fumi non tanto legali. E ormoni, credo, tanti ormoni. A dire il vero in molti casi si trattava di ormoni ancora verdi. Anche avvicinandosi al nucleo più denso infatti, molti erano gli spettatori al di sotto del metro e cinquanta, con facce da prima o da seconda media. Mi guardavano un po’ strano, quando ero in mezzo a loro, e la cosa mi ha convinto a uscire dalla calca, anche perché il caldo era veramente troppo.
Il concerto in sé è durato poco, quaranta minuti compresi tra la mezzanotte e l’una meno un quarto. Il resto della musica lo hanno prodotto, dalle 21 in poi, band di rappers locali, poco supportati dall’audio e che avrebbero meritato maggiore attenzione.
Un po’ il caos, un po’ che ero lì per una missione speciale, un po’ che son fatto così, ho percepito pochissimo del torrente di parole sparate nel microfono dai front-men. E oggi sono andato a cercarmi alcuni dei testi, che intanto vi riporto per stralci:
“…La sua pussy era così stretta, tipo dove inserisci moneta
Il mio swag è di un altro pianeta, pistola e lenzuola di seta
A scuola prendevo sei, mo voglio un conto a sei zeri
Tu non vali un cazzo oggi, non valevi un cazzo ieri
Aventador nella via, semino i carabinieri
Fanculo alla polizia, non voglio avere problemi
Lamborghini, Lamborghini entrano con i soldi escono con i chili
Tempura e Nigiri, puccio nella soia sti rapper li mangio con i bastoncini
Da Ciny all’Europa la tua tipa sopra, la tua squadra sotto che piange ed implora
La G con la S più Tony che Sosa
BillionHeadzMoney riscrive la storia…”
“…E’ il giorno del mio matrimonio, oggi mi sposo coi money
I soldi per me sono Dio, ma per molti sono il demonio
Ricevo chiamate da dentro come se fosse normale
Ti stendo come Emelianenko, la tua tipa succhia non male
Al terminal uno mi aspettano con un sacchetto, il volo era interminabile
Quale detector, frate, al tuo concerto col pompa sotto l’impermeabile…”
Testi che spiazzano chi ha superato i trent’anni e ha conosciuto altra musica e altri versi. Ma frugando tra i titoli si trova anche roba di diverso spessore:
“…Qui c’è un figlio che fa tre rapine
Per ogni madre che fa tre lavori
Qui c’è un padre che non ha lavoro
Un figlio che la notte resta fuori
Qui dove noi tutti siam cresciuti
Qui dove abbiamo perso la testa
La casa che ci manca se si parte
Quella che ci uccide se si resta
Visiera a becco ci proteggon dalla tempesta
Quella che abbiamo dentro e invece dentro resta
Queste vie buie non provano mai tenerezza
Porta la strada di questi ragazzi
A una destinazione diversa
E sta roba gli ha dato alla testa
E non puoi più salvarli…”
E ancora:
“…La gente ti giudica e non cambia nulla
E qui chi non ha nulla si sveglia e rinuncia
A una vita normale, un lavoro normale
Una tipa, una casa, un bambino ed un cane
Le strade hanno fame, non stanno aspettare
Non vanno di fretta, le strade hanno lame
Con cui si riprendono ciò che gli spetta
E fanno sanguinare, piangere mamma se tutto va male
Visiera a becco di un nuovo cappello
Di un nuovo pischello
Che sta per riuscire a giocare
Non cambia mai nulla quaggiù
Non cambiano vita quaggiù
Non cambia se non cambi tu
Poi certi non tornano più
Amici che non vedi più
Non vuoi essere il prossimo tu?…”
I commenti al concerto sono stati dei più disparati, tutti però formulati da gente che ha visto altre cose, in altri tempi. Adulti, genitori, fratelli maggiori. Alcuni si sono lasciati andare a considerazioni semplicemente violente verso il cantante e la generazione che ascolta questa musica. Altri hanno lamentato l’equazione, (a sentir loro necessaria) tra questi spettacoli, la droga e il degrado. Altri hanno fatto presente la necessità di ogni generazione di cittadini, di fruire della musica che preferisce, difendendo dunque il concerto e il pubblico.
Io mi limito a constatare una cosa: sono stato lì due ore, ho girato attorno al concerto, come un satellite in orbita, e mi sono immerso un paio di volte bucando l’atmosfera di quel mondo. Ebbene, nonostante circolasse qualche bottiglia (poche, molto poche) e nonostante profumi esotici vietati dalla legge, non ho visto nessuno per terra. Nessuno che galleggiava nel suo vomito. Nessuna ambulanza, nessuna rissa, nessun coltello, cestini della spazzatura pieni e piazza abbastanza pulita. Sono elementi insufficienti a un’analisi compiuta, come sarebbero insufficienti quelli di segno opposto, ma tant’è.
E sotto il palco, e sopra, c’erano soprattutto figli. Di tutti e di nessuno. Che come quelli di trent’anni fa, stanno cercando qualcosa. Il fatto che noi non riusciamo a vederla, non ci deve autorizzare a interrompere il lavoro di osservazione. Figli. Gli stessi che abbiamo riaccompagnato a casa. Figli, gli stessi per cui ci sbattiamo ogni giorno. Ecco, credo che sbattersi alla ricerca del pane per loro, e nello stesso tempo ignorare quel loro saltare e fare riprese e selfie stando tutti appiccicati, sarebbe da parte nostra una insidiosa contraddizione.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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