Cos’è una tessera? Ho fatto un esperimento. Ho azzerato i miei pregiudizi sull’Italia, sui partiti, sul PD, su D’Alema e su Renzi (quelli su Adinolfi e Boccia non sono riuscito ad azzerarli, scusate) e ho preso il mio borsellino. L’ho aperto, e ho tirato fuori tutto ciò che poteva somigliare a una tessera. Poi ho messo tutto sul tavolo. Il risultato è stato: dieci tessere. Sei tessere al consumatore rilasciate da altrettante catene di distribuzione (di cui tre supermercati), una di articoli sportivi, una di bricolage e una di elettronica ed elettrodomestici. Poi c’è la tessera sanitaria, il badge per timbrare l’entrata e l’uscita dal lavoro, il bancomat e la tessera 2012 del Partito democratico. L’ultima tessera politica della mia vita, per ora. Anzi no. A pensarci bene anche le altre nove sono tessere politiche, perché certificano la mia appartenenza codificata a gruppi di persone di cui accetto le regole. Le dieci tessere sono tutte abbastanza colorate. L’unica che contenga uno slogan è quella del PD. Questo è curioso. Nessuno dei marchi commerciali è seguito da uno slogan. La tessera politica invece si. Guardandole una per una, prendendole in mano, girandole su entrambi i lati, saltano fuori altre differenze: la tessera del PD è l’unica che non abbia un codice a barre, magnetico o elettronico, ma ha un codice alfanumerico scritto a mano. Ed ecco un’altra differenza: sempre la tessera PD è l’unica tra le dieci, che riporti segni di grafia umana, a parte il badge per entrare in comune, che riporta il mio nome scritto a penna da qualche impiegato. Di tutte le tessere, quella del PD è la meno usurata. Un po’ perché è tra le ultime, un po’ perché è quella che ho estratto meno volte dal borsellino (con oggi forse fanno due volte). Però è quella a cui si collega la maggior parte di comunicazioni che ricevo (ricevevo). Insieme alla banca, il PD è quello che mi inviava più comunicazioni, sempre inerenti a scadenze di tipo elettorale. Un’altra cosa che ho notato: le tessere commerciali, oltre al logo, contengono indicazioni sull’attività svolta: gente che corre, merce disegnata, richiami alla genuinità dei prodotti ecc. La tessera del PD contiene solo delle aree colorate che dovrebbero rappresentare la bandiera italiana, oltre a un rametto d’ulivo nel logo. Per il resto somiglia pericolosamente a quella della Crai. Altra cosa, tranne quella del Comune (che è l’organismo più piccolo tra tutti quelli di cui possiedo una tessera, avendo un organico di poche decine di persone), ogni tessera contiene regole e informazioni riferite al suo utilizzo e all’interazione tra la struttura e il titolare della tessera (ti dicono cosa puoi fare e cosa non puoi fare). Tutte tranne una. Indovinate quale? Si, quella del PD. Girandola si leggono solo la firma del segretario nazionale e quella del segretario di circolo, e il nome dei vari livelli della struttura: la federazione provinciale, il circolo cittadino, il nome del cittadino tesserato e il suo codice. Basta. Come dire: l’importante è che tu sia dentro, poi non è necessario, né è previsto, che tu faccia qualcosa. Ora, ho sentito che è tornato a galla il tema delle tessere PD che calano. A me sembra inevitabile che questo accada, per vari motivi. Quando i partiti facevano politica, il tesseramento era una pratica sensata; allora la partecipazione alla vita di partito regalava botte di vita che restavano impresse (scioperi, comizi, manifestazioni, sit-in, cortei, dibattiti, cazzottate, cineforum cazzo, i cineforum!). Da quando io ho avuto la mia prima tessera (mi pare PDS, ’97 o ’98), per lo più ho partecipato a riunioni in cui si parlava di tessere. Si si, di tessere. Di tesseramenti, di conte congressuali, di primarie. Solo un paio di volte mi è capitato di assistere a riunioni politiche, e infatti me le ricordo ancora. Le altre volte si è trattato di riunioni di corrente o di rese dei conti, per lo più a suon di numeri. Il calo progressivo degli iscritti al PD si deve principalmente a questo. Ma anche a un’altra cosa, fisiologica ma triste: i vecchi muoiono. Questo vale per i vecchi militanti ma anche per i vecchi dirigenti. Quelli che la tessera la dovevano avere per forza e quelli che senza i loro mazzetti di tessere da amministrare si sentivano persi. Un po’ come i bambini che giocano (giocavano) a figurine. Personalmente ho assistito a tesseramenti di persone che manco sapevano dove era la sezione, e di persone che accettavano di farsi tesserare per fare un favore al nonno allo zio, al papà, e anche alla mamma. Per non parlare di chi si tesserava perché sperava in un posto di lavoro, e non mi sento di biasimarlo. Gente che non metteva piede alle riunioni e che non ti chiedeva mai notizie su cosa si faceva, sulle iniziative in programma, sulla linea da seguire in consiglio comunale ecc. “Compagni” che nei discorsi quotidiani somigliavano spesso ad altra gente che magari votava a destra. Specie se l’argomento erano i politici o gli immigrati. Questi erano, in misura significativa, i tesserati. Quelli che col passare del tempo diminuiscono perché evidentemente non hanno un ruolo vitale, e quindi la relazione tra loro e il “partito sul territorio” avvizzisce. Resta loro la funzione di elettori, ma in questo sono uguali a tanti altri cittadini che con quei partiti non hanno mai avuto legami, e si informano come capita e scelgono sulla base di un istinto, se vogliamo grossolano e intestinale, ma senza dover necessariamente chiedere indicazioni a chi gli aveva dato la tessera. Senza pretesa di scientificità, ho dato un’occhiata ad alcune statistiche. Non metto i link perché sennò chi condivide rilancia il link stesso e non questo articolo, ma basta che digitiate “istituto cattaneo statistiche tesseramento partiti” o “archivio storico corriere crollo degli iscritti” o quello che volete voi, e qualche dato salta fuori. Il PCI (poi PDS) ha avuto circa due milioni di iscritti tra il ’46 e il ’56. poi ha iniziato a scendere arrivando a un milione e mezzo nel ’68. poi ha ripreso a salire fino al ’76, fermandosi al milione e otto. Poi una discesa, inesorabile e continua, fino al 1991, quando è sceso ben sotto il milione. Una cosa curiosa è che la DC, che negli anni precedenti era sempre stata sotto o di poco sopra il PCI, nel 1990 aveva più di due milioni di tesserati. Chissà se erano tutti vivi. Alla nascita del PD (2007), DS e Margherita portarono in dote rispettivamente seicentomila e duecentocinquantamila iscritti. Tralascio i dati intermedi ma cinque anni dopo, nel 2012, il PD aveva mezzo milione di iscritti, trecentocinquantamila in meno. Il Segretario era Bersani, la personalità più prestigiosa era D’Alema, e Renzi era solo quel bamboccio rompicoglioni del Sindaco di Firenze. Tutto questo per dire che i partiti muoiono, che la memoria è importante e che prima che muoia anche la politica, forse è il caso di cercare altre strade per garantire alla democrazia un futuro più lungo possibile. Anche senza tessere, che nel borsellino non c’è più posto.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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