Il personaggio del giorno di oggi si chiamava Seretse Khama e a lui dobbiamo un grosso passo avanti del mondo civile. In realtà questo merito andrebbe diviso per due, poiché la moglie Ruth Williams combatté al suo fianco la lotta per affermare un principio: potersi sposare liberamente, anche se la persona che si è scelta ha un colore della pelle diverso e obblighi dettati dalla sua condizione aristocratica. Khama è morto nel 1980, ma mi va di parlarne oggi perché la sua valorosa vicenda personale è stata riesumata in tempi recenti dal film “United Kingdom” della regista ghanese Amma Asante. Seretse Khama è un giovanotto africano che, subito dopo la guerra mondiale, viene mandato dalla famiglia a completare gli studi in Inghilterra, a Oxford. Però la sua non è una famiglia qualunque, perché Seretse è destinato a diventare re del Bechuanaland, l’attuale Botswana, al tempo protettorato britannico al confine con il Sudafrica. Accade che durante la sua permanenza a Londra Seretse – di idea progressiste, colto e appassionato di jazz – incontri la dattilografa di Croydon Ruth Williams e se ne innamori, peraltro pienamente ricambiato. Una passione travolgente e disinteressata, perché solo molto tempo dopo l’inizio della relazione lui le rivelerà di essere un principe destinato a governare un popolo. C’è però un serissimo ostacolo al coronamento del loro amore: il colore della pelle. Lui è nero, lei bianchissima. E poi siamo negli anni quaranta, quando i matrimoni interrazziali sembravano un atto contro natura. Le due famiglie si oppongono: il padre di Ruth è indignato, ma quel che più conta per le cronache è la ferma contrarietà dello zio di Seretse, reggente del poverissimo Botswana: il popolo di quel Paese – poche tribù per un totale di 120 mila abitanti, su una superficie estesa quanto la Francia – non avrebbe mai accettato che il futuro re potesse impalmare una donna bianca. Non è un affare privato, perché la faccenda ha serissime implicazioni di diplomazia internazionale e mette in gioco relazioni tra gli Stati e reciproci interessi, su cui la stampa di tutto il mondo fatalmente si butta a pesce. Mentre Seretse e Ruth si sposano a Londra, con una modesta cerimonia cui presenziano pochi amici, accade che il governo del Sudafrica stia varando la sua politica dell’apartheid: la vita di bianchi e neri dovrà procedere separata, divisa da paratie stagne, senza possibilità di mescolanze. Per i sudafricani, che il re nero dello Stato confinante porti all’altare una bianca è un affronto inaccettabile, cosicché il governo di Johannesburg interviene direttamente sul primo ministro inglese Winston Churchill per sensibilizzarlo al problema. Il Bechuanaland, non dimentichiamolo, è protettorato inglese dalla fine dell’Ottocento, benché abbia una sua casa regnante è una sorta di Parlamento titolato ad assumere le decisioni più importanti. E quale potere poteva vantare il Sudafrica, vi chiederete voi, per coinvolgere il Regno Unito in questa ridicola disputa, scatenata dall’amore sbocciato tra due ragazzi poco più che ventenni? Sembra strano, ma il Sudafrica sapeva che Churchill non avrebbe detto di no. Primo, perché si era schierato con gli inglesi nel conflitto mondiale appena conclusosi, investendo risorse materiali ed umane e garantendosi un credito con Londra; secondo, perché il Sudafrica rappresentava un importante alleato degli occidentali nella lotta contro l’espansione del blocco sovietico, nei mesi in cui iniziavano a soffiare i primi venti della Guerra fredda. Infine, quando gli inglesi capirono che il popolo del Bechuanaland avrebbe sostenuto il suo giovante principe, anche accettando la decisione di sposare una bianca, ebbero timore della ribellione della comunità e dei fermenti indipendentisti che la animavano, benché si trattasse di poche decine di migliaia di persone. Beh, che c’era di tanto importante nel misero Botswana da giustificare una simile mbobilitazione? C’erano gli immensi giacimenti di diamanti e uranio che proprio in quel periodo erano venuti alla luce e il cui controllo gli inglesi non volevano minimamente perdere. Attirato a Londra per un colloquio, lasciando in Africa la moglie incinta, a Seretse Khama venne comunicato l’esilio a vita, il che gli avrebbe di fatto impedito di fare rientro nel suo Paese. Le logiche ferree del colonialismo si erano imposte con ben altre violenze brutali, figuriamoci se si facevano scrupolo di calpestare un matrimonio. La storia d’amore spezzata per motivi politici fece però esplodere una intensa campagna civile in tutta Europa che, nel giro di qualche mese, portò al ricongiungimento della coppia. Seretse, a questo punto, compì il suo capolavoro. Rinunciando al trono lasciò decadere l’antica monarchia, ma avviò una propaganda politica indipendentista così accesa e condivisa dal suo popolo che costrinse Londra a concedere l’indipendenza, nel 1966. Seretse Khama, da re predestinato, divenne così il primo presidente democraticamente eletto del Botwsana, scopertosi nel frattempo Stato ricco di ingenti risorse custodite nel sottosuolo. Seretse è morto nel 1980, Ruth nel 2002. Riposano l’uno accanto all’altra, nella stessa tomba, sulla collina che sovrasta la capitale Gaborone.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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