Io mi ricordo quando, da ragazza, si andava in pizzeria. O nelle varie occasioni, come matrimoni o pranzi di famiglia, si consumavano i pasti in ristorante. Ricordo anche il primo viaggio a 8 anni “in continente” con la Fiat 850 issata sulla nave da una gru che faceva dondolare la nostra vetturina e la vedevo così indifesa tutta imbragata com’era. In questo viaggio, destinazione Arta Terme, alloggiavamo in una pensione con colazione, pranzo e cena compresi. Nonostante la mia magrezza, mi piaceva mangiare e le “uscite gastronomiche” erano occasioni per conoscere nuovi piatti e nuovi sapori. Nessun confronto con la cucina di casa, solo gusti diversi.
Le discussioni sulle ricette, erano volgari esternazioni di bassa lega. Solo le siore Maria si accapigliavano per una cipolla di troppo nell’amatriciana. Le persone di classe (e io lo nacqui), non entravano in conflitto per parlare di cibo. Del resto noi nobili non abbiamo mai fame, solo leggeri appetiti o timidi languorini. Era l’epoca in cui andare in ristorante diveniva occasione per stare assieme e il mangiare era semplicemente un piacevole contorno della serata. Se qualcosa ci sorprendeva in bontà, certo che elargivamo commenti positivi. Nessuno però nascondeva la paletta da giudice nella borsa per sfoderarla a fine pasto o il taccuino per votare menù, servizio, conto e lochesciò.
Poi qualcosa è cambiato. Quando è avvenuto il cambiamento, io non lo so. So solo che di punto in bianco mi son trovata a osservare amici che prendevano come offesa personale, un piatto sbagliato dallo chef (l’ex cuoco); a sentire frasi del tipo “Io lo faccio meglio” che sarà senz’altro vero ma in generale, non solo nella cucina, sarebbe meglio far decidere terze persone quando si indice una gara diretta con qualcuno. E anche lì, mica puoi dire “No guarda, mi sa che ha vinto lo chef” dai, non si può. Insomma a un certo punto mi son trovata circonda da orde di masterchef. Li sentivo parlare di bisque, roux, quenelle e confit e in un primo momento hanno ingannato anche me. Ho creduto a questi nuovi critici gastronomici. Obiettare che in fondo in fondo è questione di gusti o abitudini culturali, ti faceva passare come un’incompetente dalle papille ignoranti. Ho creduto che loro, invece, avessero delle papille sublimi, capaci di avvertire ogni singolo ingrediente e giudicare l’equilibrio dell’insieme. Sapido. Manca un po’ di acidità. Tutto troppo grasso. Manca la parte croccante.
Poi le cose sono degenerate. Ora, durante una cena, manca poco che qualcuno prenda il piatto e lo scaraventi come un frisbee in sala. Cerco di far rinsavire il commensale sdegnato dicendo “vabbè dai, oggi non è giornata, ci rifaremo” oppure “se preferisci, non torniamo più qui”. Insomma stiamo parlando di una pietanza davanti alle migliaia di altre che mangerai, che sarà mai. Invece lo vedo con occhi di bràgia che chiede di parlare con lo chef per dirgli “Sei iliminato, togli il grembiulle e lascia la cucina”. Però se è capace di tanta passione, io credo alle sue doti di luminare culinario.
Finché un giorno, la stessa persona, non decanta un fritto deliziosissimo, il migliore in assoluto, di verdurine in pastella preparato dalle mani vere di uno chef vero. Ci rechiamo così in tal luogo assieme e ovviamente le verdurine pastellate saranno nostre ospiti. Arrivano. Io mi preparo con l’ipersalivazione che ogni buon fritto merita e gli faccio spazio nel centrotavola e… un attimo. Quella forma tondeggiante di cavoli, peperoni, zucchine. Quella forma così tonda da essere irreale, mi ricorda delle verdure surgelate che si trovano in qualsiasi banco frigo al supermercato.
Quindi “lo faccio meglio io”, piatti carambolati, Quiche Lorraine e brunoise, alla fine è tutta una farsa. Mi avete presa in giro con la vostra capiscioneria gastronomica, mi avete lapidato per aver desiderato un vitel tonnè nell’anno 2018 e poi non riconoscete quella chimerica verzura?
Davvero. Uscite dal corpo di Bastianich, rilassatevi e iniziate ad apprezzare i momenti conviviali coi vostri amici, che litigare per la cucina è di una volgaVità indicibile oltre che improduttivo. De gustibus non est disputandum e la cucina poi è fatta di ricette, non di assiomi. Comunque la cotoletta alla milanese va fritta nel burro chiarificato!
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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