La scuola non è solo acquisizione di concetti. Da tempo non è più esclusivamente leggere, scrivere e far di conto. Ma anche ora non si riduce allo sterile apprendimento di competenze e conoscenze.
In particolar modo la scuola primaria è anche, e soprattutto, socializzazione. Imparare a stare insieme, giocare, trovare gli amichetti, rispettare le regole non scritte del gruppo. La scuola è fatta di chiacchiere sottovoce, di piccoli amori che sbocciano tra i banchi, di merende consumate insieme, scambiate e rubate. Dispetti, burle, sguardi, cameratismo e confidenze. Compagni di vita che amerai per la loro benevolenza e che odierai per la loro durezza. Ma che non finirai mai di ringraziare perché quei loro scherzi crudeli ti hanno rinforzato l’anima. E tu, coi tuoi, avrai fatto lo stesso favore a loro.
A Nuoro, per un bimbo di 8 anni la scuola non è più nulla di tutto ciò.
Lasciamo a quel bambino il nome di fantasia che gli ha attribuito la cronaca e continuiamo a chiamarlo Francesco. Quest’anno Francesco frequentava una terza elementare composta da 15 alunni, tra i quali si “annidava” un compagnetto definito, con un gergo didatticamente elusivo, difficile. Un aggettivo vago e orribile. Difficile è tutto ciò che non si riesce a gestire. Anche se a volte è l’incapacità nella gestione a far diventare difficile qualcuno o qualcosa, ma non divaghiamo. Non so cosa intendessero con quell’aggettivo, forse un ribelle o un caratteriale, ma anche un bimbo affetto da disturbi da iperattività… insomma lo ignoriamo. Le cronache riportano però una richiesta, negata, per avere un insegnante di sostegno. La situazione evidentemente diventa intollerabile al punto che i genitori iniziano a ritirare i propri figli da scuola. A gennaio quella classe perde 10 bambini e ne restano in 5. Dopo un paio di mesi, quattro di quei coraggiosi superstiti gettano la spugna e vanno via, incluso il bimbo problematico. Francesco resta solo.
Possiamo immaginare, anche solo lontanamente, cosa significhi per un bimbo di 8 anni mettere lo zainetto in spalla e andare in una stanza dove sa che trascorrerà 8 ore (tempo pieno) con l’esclusiva presenza di quattro maestre? Nessun coetaneo con cui scambiare due chiacchiere. Non un minuto di distrazione né una risacca di disattenzione. Nemmeno un sorriso sdentato da guardare.
Non è più un bambino che va a scuola: è un carcerato in cella di isolamento.
I genitori di Francesco, che avevano lasciato il figlio in quella classe anche per aiutare il compagnetto difficile, a quel punto, chiedono alla Dirigente scolastica di far trasferire il bimbo altrove, ma lei nega l’autorizzazione. Francesco dovrà essere l’unico alunno di quella terza elementare fino alla fine dell’anno.
Una brutta storia di mancanza di dialogo tra scuola e famiglie. Di genitori che proteggono troppo i figli. Di papà e mamma che amano esageratamente i propri pargoli, ma non abbastanza quelli altrui. Di guardiani familiari che sfoderano spade castranti. Di uno stato che non tutela la formazione e taglia i fondi per gli insegnanti di sostegno. Una storiaccia costellata di fallimenti ed errori che hanno un prezzo altissimo. Quel prezzo, però, lo paga uno solo: Francesco.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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