Il 31 dicembre l’ho trascorso a Roma, in attesa di salire sull’aereo per Lisbona in compagnia di un gruppo di amici. Nel primo pomeriggio una delle compagne di viaggio è stata male: emicrania, vertigini, capogiro. Visto che le sue condizioni non miglioravano, abbiamo preferito accompagnarla all’ospedale Santo Spirito. Il giorno dell’ultimo dell’anno, mentre il traffico già si ritraeva come la marea, prima della piena finale di gente per strada. Ci siam detti: confidare nell’assistenza di un ospedale pubblico a San Silvestro è da illusi, la stragrande parte del personale sarà in ferie o si sarà data malata, ma non avevamo alternativa. Invece. La nostra compagna è stata visitata immediatamente in codice giallo e sottoposta a vari esami, mentre noi potevamo seguire in tempo reale su un monitor ogni aggiornamento sulle sue condizioni. Il personale è stato efficiente e non ha lesinato sorrisi, battute e abbracci, sempre graditi nella sala d’attesa di un ospedale. Nessuna protesta, nessuno sfogo isterico dei pazienti che aspettavano, come spesso accade. In un paio d’ore la nostra amica è stata dimessa, non prima di una consulenza finale del medico di turno: era una semplice influenza, nulla di cui preoccuparsi. Tutto certificato nella cartella che le è stata rilasciata alla fine. La mia amica ha speso zero euro, dopo quella spiacevole parentesi la nostra vacanza è ricominciata secondi i programmi. Scrivo queste righe perché dall’estero leggo di donne morte di parto in un ospedale italiano, con l’inevitabile attacco al sistema pubblico da parte di coloro che negli apparati dello Stato vedono solo corruzione e inefficienza. Ogni morte inspiegabile in un ospedale va doverosamente indagata fino in fondo per accertarne le cause, ci mancherebbe. Io però ho voluto raccontare questa piccola esperienza personale perché trovo giusto che a far notizia debbano essere anche le cose che funzionano. Forse tendiamo a dimenticare quale grande patrimonio di civiltà sia la sanità pubblica, forse non resistiamo alla tentazione di considerarla un rifugio per mediocri e raccomandati, abituati come siamo a far ricadere su tutta la categoria l’errore di un singolo. Sbagliato, sbagliatissimo. Saluti da Lisbona.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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