In questi ultimi giorni del 2021, la critica musicale annuncia l’uscita di un 45 giri di un cantautore genovese, tale Fabrizio De Andrè. Il brano si intitola Il Gorilla e niente altro è se non la traduzione italiana del testo di un altro musicista, il francese George Brassens.Ce ne occupiamo per i contenuti razzisti, sessisti e diffusamente violenti della canzone, specchio fedele dei tempi barbari che viviamo.De Andrè, cui vengono attribuite simpatie anarchiche, somma in questo messaggio i peggiori stereotipi di certa sottocultura con radici nella destra xenofoba e dai sentori fascisti, che tradisce però anche la profonda avversione per la magistratura maturata in tempi più recenti e originata dalle ben note vicende politiche post Tangentopoli.
Sulla piazza d’una cittàla gente guardava con ammirazioneun gorilla portato làdagli zingari di un baracconecon poco senso del pudorele comari di quel rionecontemplavano l’animaleNon dico come, non dico dove
Sono questi i primi versi della canzone, molto significativi. L’uso del dispregiativo zingari, che sembrava ormai rimosso dal linguaggio comune, rimette in gioco antichi pregiudizi con la violenza delle parole: chiamandoli zingari, è chiaro, si lascia intendere una loro inferiorità, la loro arretratezza di comunità ferma al nomadismo. Cos’è questo, se non un passo indietro nella accidentata strada verso un uso consapevole. tollerante, inclusivo della lingua?Non sfugga, poi, l’uso altrettanto dispregiativo del termine “comari”, dispregiativo rafforzato dalla descrizione dell’attività cui le donne sarebbero impegnate: osservare il sesso del gorilla. Vecchie rimbambite ma sporcaccione, suggerisce insomma l’autore, attratte dalle dimensioni animalesche del membro di una bestia. De Andrè, non contento, sbeffeggia le stesse donne anche nei versi seguenti, quando la narrazione descrive la fuga del gorilla dalla gabbia.
Il padrone si mise a urlare“Il mio gorilla, fate attenzioneNon ha veduto mai una scimmiaPotrebbe fare confusione”Tutti i presenti a questo puntoFuggirono in ogni direzioneAnche le donne dimostrandoLa differenza fra idea e azioneNella strofa seguente si immagina che il gorilla, una volta libero, finisca con l’inseguire le due uniche persone rimaste per strada: una vecchietta e un magistrato. E qui De Andrè, replicando Brassens, dà il peggio di sé:
“Bah”, sospirò pensando la vecchia“Ch’io fossi ancora desiderataSarebbe cosa alquanto stranaE più che altro non sperata
Ancora una volta la donna vista solo come soggetto sessuale, in questo caso quasi lusingata dall’essere degnata dell’attenzione di una scimmia. La donna derisa, perché il desiderio è associato all’età ormai matura della “comare” in fuga: sesso e vecchiaia, si sa, sono un classico binomio del più becero umorismo da caserma. Semmai ci fosse bisogno di trovare conferma a questi sospetti, i versi seguenti li dissolvono tutti:
Se qualcuno di voi dovesseCostretto con le spalle al muro,Violare un giudice od una vecchiaDella sua scelta sarei sicuroMa si dà il caso che il gorillaConsiderato un grandioso fustoDa chi l’ha provato però non brillaNé per lo spirito né per il gustoAttenti al gorillaInfatti lui, sdegnata la vecchiaSi dirige sul magistratoLo acchiappa forte per un’orecchiaE lo trascina in mezzo ad un pratoQuello che avvenne fra l’erba altaNon posso dirlo per interoMa lo spettacolo fu avvincenteE la “suspence” ci fu davvero
Lo so che state trattenendo a stento le risate. Ma sta ridendo la parte più meschina e volgare di voi, Questi versi trasformano in uno spettacolo sportivo una violenza sessuale, attribuendole quasi un provvidenziale carattere punitivo verso il “malvagio” magistrato che, si intuisce nel finale della canzone, il giorno prima aveva condannato a morte un imputato. “Spettacolo avvincente” per descrivere uno stupro: a tanto è arrivata la musica italiana, la cui presunzione è tale da essere capace di ridurre in burla un problema sociale di scottante attualità.
Dirò soltanto che sul più belloDello spiacevole e cupo drammaPiangeva il giudice come un vitelloNegli intervalli gridava mammaGridava mamma come quel taleCui il giorno prima come ad un polloCon una sentenza un po’ originaleAveva fatto tagliare il collo
Mi fermo al verso “sul più bello dello spiacevole e cupo dramma”, come se possa esserci bello in una violenza sessuale e come se questa potesse semplicemente essere ritenuta “spiacevole”. Davvero questa può essere considerata arte, davvero alla libertà di espressione non devono essere imposti limiti?Ci consola solo la certezza che il sedicente cantautore Fabrizio De Andrè sarà dimenticato presto, se questo è quel che è capace di scrivere e suonare.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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