Il panorama.
Porto Torres primi anni cinquanta: poco più di un paese che si sta faticosamente riprendendo dopo la tragedia della guerra. Al porto la compagnia portuale arriva ad avere più di trecento lavoratori; le flotte di pescherecci diventano tra le più importanti della Sardegna e nasce persino una grande azienda per la lavorazione e la conservazione del pesce che occupa oltre trecento persone in gran parte donne; i proprietari terrieri hanno riperso ad assumere braccianti e pastori. Nascono nuove imprese e l’economia, come si dice oggi, comincia a tirare. Il corso Vittorio Emanuele è il cuore pulsante della comunità: vi sono le banche, le agenzie marittime, gli spedizionieri, il comune, i caffè, ma anche le abitazioni della borghesia grassoccia. Non vi sono famiglie nobili a Porto Torres, nessun titolo viene vantato da alcuno: tutti uguali, poche eredità, la nobiltà si conquista col lavoro.
L’ambiente.
Al corso (“in piazza” quando alla domanda di mamma “dov’eri?” si doveva rispondere subito) vivono le famiglie della borghesia, qualche proprietario terriero, i professionisti, un paio di avvocati, qualche medico,il veterinario.. Quasi a metà del corso abita il dottor-avvocato-notaio Tasala, personaggio di spicco, persona seria, integerrima, credente e fortemente praticante, e di fronte il suo inseparabile amico, il medico condotto, dottor Torru, personaggio burbero, serio e serioso, “mutrioni”, di poche parole ma di lunga mano. Allora come ora il Natale è il periodo delle grandi occasioni, delle riunioni di famiglia e il dottor Torru, che ci tiene alle tradizioni, per Natale vuole avere attorno al desco (a magnà, mih!) tutta la famiglia, i figli e i nipoti ed essendo vedovo può contare sulla sua cameriera (allora si diceva “sivvidora”), Luigina, per tirare la casa a lucido e preparare il presepio, ché ancora l’albero di Natale non è di moda. Ma proprio la settimana precedente il Natale Luigina si ammala piuttosto gravemente e deve tornare in paese. Un bel guaio per dottor Torru che vede svanire il piacere e l’orgoglio di presentare la sua abitazione nel modo migliore, pulita e ben addobbata.
Che fare?
Fa che si rivolge al suo miglior amico, il dottor Tasala, che ha addirittura due “servette”: due sorelle, Angelina e Domenica. Domenica è una ragazzotta ingenua, disarmata, ma gran lavoratrice, mentre Angelina è una tosta, non arrogante, intendiamoci, ma consapevole della sua personalità forte, mai arrendevole e anche lei gran lavoratrice. E il dottor Tasala, per andare incontro al suo amico, propone alle due ragazze di andare a dare una mano al dottor Torru, almeno per tutto il periodo delle feste di Natale e finché il dottore non trovi un’altra “sivvidora”. Domenica è quella che si offre: qualche soldo in più è una vera fortuna per la loro misera famiglia! Una mattina Domenica è in cucina che lava i piatti quando entra il dottore e vede le sue spalle pienotte (ma sono proprio le spalle che guarda?), le si avvicina silenzioso e si prende una piccola libertà. Domenica reagisce con dignità “arrendevole”, dopotutto il dottore è “lu paddroni”, ma ha il coraggio di esclamare: “Mi, lu duttò, no’ ischumenzia puru vosthè cumenti l’avvucaddu!” (mi dottò, non iniziate anche voi come l’avvocato) L’episodio, proprio per l’arrendevolezza di Domenica, si ripete altre volte e la servotta non ne parla con nessuno per paura di perdere il posto.
La tragedia
Ma il destino, a volte veramente cinico, è in agguato: anche Domenica si ammala e prega la sorella di sostituirla almeno finché non sarà passato il virus. A Porto Torres, in quegli anni, nessuno chiudeva la porta di casa durante il giorno. La notte si, ma di giorno mai. Angelina va a sostituire la sorella a casa del dottor Torru, entra e non trovando nessuno, decide autonomamente di iniziare lavando per terra. Lo fa con grande lena: la prima passata in ginocchio, la seconda, più leggera, per asciugare, inchinata a 90 gradi (allora non c’era il moccio vileda ma “lu cannabazzu”). Ed è in quella posizione che la trova il dottor Torru entrato silenziosamente proprio in quel momento. L’occasione è ghiotta e non intende lasciarsela sfuggire. Si avvicina lentamente in punta di piedi e si prende una “graaande” libertà mettendo le mani su quella giovane e prospera collina. Angelina è sbalordita, ha ancora in mano lo strofinaccio umido, ma reagisce come solo lei sa fare: si alza, si erge in tutta la sua sfolgorante, verginale, orgogliosa, bellissima fisicità e…ischudi un ciaffu a lu duttori ghi li gira lu gabbu (molla uno schiaffo al dottore da fargli voltare il capo dall’altra parte). Le cinque dita sono evidentissime sulla guancia anzianotta del dottore che reagisce con un quasi isterico: “Ma scusi, credevo fosse Domenica”! Al che, ancora più tosta, Angelina sbatte lo straccio sul presepio mandando all’aria le statuine e si avvia verso la porta: “Acchì sigundu vosthè eu la dumenigga mi fozzu tuccà lu curu”? (perché secondo voi io la domenica mi faccio toccare il culo?). E sbattendo la porta lascia quella casa sporca, il presepio disfatto e il dottore profondamente sconcertato.
Queste si che sono tragedie!!!
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
16marzo1978: il giorno in cui persi l’innocenza. (di Giampaolo Cassitta)
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Break news: Fedez e Francesca Michielin vincono il Festival di Sanremo.
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Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
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