Nell’articolo Aru escluso dai mondiali. E’ un complotto? spiegavo che l’esclusione di Aru dalla nazionale non era motivata, come i complottisti volevano, dall’aver esposto la bandiera dei 4 mori alla premiazione della Vuelta, ma semplicemente per un fatto tecnico, ovvero per un percorso che non si adattava ai suoi mezzi. Prendevo spunto da un fatto sportivo per evidenziare la deformazione, piuttosto comune nell’isola, di esagerare il proprio vittimismo. Un vizio che, a mio parere, finisce per inficiare i veri torti che la Sardegna ha subito nel corso della sua storia. L’articolo ha avuto una notevole diffusione e apprezzamento. Tuttavia ha evidenziato un fenomeno curioso. Molti hanno condiviso e commentato l’articolo senza leggerlo. Ha scritto Francesco Giorgioni, direttore di Sardegnablogger, a questo proposito, in un suo post: “Alla fine c’è un punto interrogativo: significa, scusate la pedanteria, che si pone una domanda, si cercano risposte ad un dubbio. NIENTE DA FARE! Nella maggior parte delle decine di commenti al post (che ha avuto sinora diecimila letture) quel punto interrogativo viene ignorato e quella di Fiorenzo viene interpretata come un’asserzione. Mi sto convincendo che ragionare sia sforzo inutile, se anche la lettura di un titolo elementare va spiegata.” Io lo capisco che non tutti hanno il tempo per leggere un articolo per intero. Lo capisco. Capita dunque di fermarsi al titolo. Può capitare di leggere il titolo, e poi non andare oltre, per mancanza di interesse. Normale no? Ecco, quello che però, davvero, non riesco a capire è questa cosa qua. Se un articolo non lo leggi per mancanza di tempo, o per mancanza di interesse, perché lo commenti? Se non hai il tempo per leggerlo, perché trovi il tempo per commentarlo? Se non hai l’interesse a leggerlo, perché hai l’interesse a commentarlo? Ma se non lo leggete, l’articolo, mi domando, quale misterioso e irrefrenabile impulso vi spinge a doverlo commentare per forza, facendo quindi la colossale figura di merda di non aver capito un tubo? Ora i misteriosi meandri della psiche umana producono comportamenti, evidentemente, contraddittori. E tuttavia, dato che ho passato del tempo a studiare antropologia culturale, non me la posso cavare con una semplice invettiva, e mi tocca provare a capire questi assurdi comportamenti e produrre almeno un breve cenno di riflessione. Com’è noto, un’accesa polemica sulla stupidità di chi scrive su internet è stata sollevata da Umberto Eco, con una dichiarazione che evidenziava un eccesso di libertà, un diritto di parola che lo strumento mediatico offre a chiunque, anche a chi non ha nessuna patente riconosciuta per esprimere pareri. La critica si è divisa sulla portata di queste dichiarazioni. A molti è parsa una invettiva contro la stupidità dei tanti commentatori dei social, dai bimbominkia ai razzisti; ad altri invece è sembrata uno spocchioso e, se vogliamo, antidemocratico, richiamo all’esclusività della cultura elitaria, dell’apparato. Un altra questione, molto attuale e commentata, deriva da una statistica dell’Ocse, che vede l’Italia ai vertici nel preoccupante fenomeno del cosiddetto “analfabetismo funzionale”. Il fenomeno riguarda coloro che, pur avendo una base di istruzione, non sanno interpretare e decodificare un testo correttamente Anche in questo caso si è scatenata la retorica anti-italiana, bollando il paese con il maggior patrimonio culturale del mondo come, semplicemente, stupido e ignorante, senza rendersi conto che, così facendo, si entrava dritti in quella alta percentuale di analfabeti funzionali. Ora, dato che l’articolo ha uno standard di brevità da cui, evidentemente, non si può prescindere, mi limito ad una ed una sola considerazione. Io credo che alla base di queste disfunzioni vi sia un brutto vizio tipicamente italiano. Un brutto vizio che, purtroppo, in Sardegna è ancora più marcato. La faziosità. La faziosità, insieme ad altre deformazioni della modernità come la frenesia del quotidiano, la superficialità di una cultura sempre più binaria e oppositiva, rende questa parte del mondo irragionevole e prevenuta, tanto da alimentare l’analfabetismo funzionale. Non si legge, non si approfondisce, tanto il pregiudizio ha già stabilito, con categorica pigrizia, da che parte stare. Le motivazioni di questo atteggiamento, forse, si potrebbero ricercare nella storia. Dalle lotte tra Papato e Impero, tra Guelfi e Ghibellini, tra monarchia e repubblica, fino ai giorni nostri, dove ancora ci si divide tra comunisti e fascisti nonostante la storia abbia già, da tempo, seppellito le due opposte concezioni, che però sopravvivono in diffidenze e insinuazioni reciproche. In un mondo che si avvia ad essere sempre di più frantumato nelle sue componenti sociali, come diceva Pasolini, da un potere invisibile, i conflitti tra opposti schieramenti, tra antirazzisti e buonisti, tra pubblico e privato, tra commercianti e consumatori, e così via, crea delle opposizioni rigide e pregiudiziali che tracimano in una sorta di faziosità cieca e irresponsabile, dove l’unico obbiettivo non è il bene comune, ma il poter dire “ciò raggione”. In Sardegna, ora, c’è l’aggravante: sardisti e italianisti, vittimisti e colpevolisti, indipendentisti e unionisti, e così via. Questa mancanza di obbiettività è un dramma sociale, a mio parere. Finisce per produrre solo colpevoli, a buttare tutto in caciara, a creare fazioni e opposizioni perenni, a non avere il buon senso di cambiare quando è giunto il momento. Ecco, forse, perché si commenta senza leggere. Perché tanto abbiamo già stabilito da che parte stare. Anzi, dato che ho bisogno di un elemento buono per poter dire “ciò raggione”, e sostenere la mia tesi, prendo l’articolo e me lo condivido, pazienza se dice il contrario, l’importante che dica quello che vorrei che dicesse anche se non lo dice. Tanto chi lo legge?
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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