Chissà perché nei miei ricordi confusi associo Paolo Savona a Mario Segni nella strana stagione di trent’anni fa quando Sassari era un laboratorio politico nazionale quasi clandestino. Non è che Mario Segni si nascondesse nei covi a parlare di politica e di riforme istituzionali, ma siccome il grande movimento che avrebbe travolto il proporzionale poi risorto era ancora soltanto un pensiero, non si dava troppa pubblicità alla frenetica attività che spesso si spostava anche a Sassari. C’erano dietro quella riforma grandi menti che soltanto in minima parte vennero subito alla luce, altre lo fecero negli anni successivi in vari movimenti e alcune preferirono restare sempre dietro le quinte, scelta che a esempio fece il notaio Gaetano Porqueddu, uomo di straordinaria passione e intelligenza politica. Cosa c’entra Savona? Non so bene, racconto sensazioni di quel periodo. Lo associo ad allora perché a presentarmelo potrebbe essere stato in qualsiasi circostanza proprio Mario Segni, mi capitò forse di intervistarlo nel corso degli anni Novanta su qualche tema economico sardo, non ricordo bene, poi non l’ho più incontrato. Ma rivederlo in questi giorni usato da Salvini come bandiera non del tutto appropriata della secessione dall’Europa, mi ha dato una botta di tristezza. Niente di definito, ma per questa incontrollata associazione di idee ho pensato a quegli anni in cui in molti credevamo che l’alternativa potesse essere tra Occhetto e Segni. Tra un onesto comunista proiettato verso il futuro, un umanista sinceramente socialista, e un conservatore democratico, anch’egli eticamente cristallino. Io che sono di sinistra pensavo: se vince Occhetto, tanto meglio; se vince Segni, non è la fine del mondo: non la penso come lui ma il mio Paese sarà comunque nelle mani di una persona perbene. Accidenti, come in pochi giorni cambiarono le prospettive. Gli uomini del destino non erano Occhetto e Segni e chi stava intorno a loro ma tutt’altra gente. Alcuni grandi giornalisti poi hanno detto di non averci mai creduto all’illusione di quei giorni, anche se allora scrivevano il contrario. Ricordo nel periodo referendario che certi inviati dei giornali nazionali alle conferenze stampa nello studio del notaio Porqueddu quasi si offendevano perché noi piccoli giornalisti le domande le rivolgevamo a Segni e non a loro. Cosa volete, sarà per questo che sono rimasto un piccolissimo giornalista: quando sbaglio, mi sento meglio se lo ammetto.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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