E vai con il conteggio dei disoccupati nuovi. Centinaia di famiglie in più dove una madre o un padre guardano i figli con una vertigine di paura o dove un figlio già grande guarda i genitori pensando: “E ora ho di nuovo bisogno di voi”. Soltanto che ora i conti si fanno nella Sassari dove è stata trasportata tutta la ricchezza, dove i padroni sono lontani, dove non conosciamo la faccia di chi paga lo stipendio. A Predda Niedda, quel pantagruelico negozificio che tanti anni fa un’improvvida politica cercò di spacciarci per “zona industriale” e che ben presto impoverì la città sul piano economico ma anche su quello urbanistico e culturale, trasferendo in quel grottesco simulacro urbano soldi che creavano economia da esportazione e coltivando nei gusti le peggiori attitudini di una Sassari in declino. Già, il declino di Sassari. Predda Niedda è una causa o un effetto? Facile rispondere che è entrambi. E’ l’effetto di una crisi che ha radici più profonde persino della Sir di Rovelli e persino della formazione di una classe dirigente che nel post fascismo confermò sotto etichette defascistizzate tutte le scelte produttive soltanto per poche famiglie e improduttive per il progresso della città inaugurate durante il Ventennio. Ed è concausa del moderno incancrenirsi di questa malattia antica. E adesso, nel dramma dei nuovi disoccupati, tra l’altro in una preoccupante controtendenza rispetto a certi altri dati nazionali e regionali, vedo un perpetuarsi di questo declino. Mi è capitato di parlare con alcuni significativi sassaresi la cui attività è legata a concessioni pubbliche o comunque all’occhio benevolo dei poteri locali. Sono preoccupati di sapere chi candiderà la destra o chi i 5 Stelle metteranno in ballo alle comunali dell’anno prossimo, danno per scontato che anche a Sassari si confermerà la tendenza nazionale. E quindi pensano a ricollocarsi. Non pensano a investimenti che creino lavoro e ricchezza diffusa. Pensano a un cambio di casacca all’insegna del “ma io quello lo conosco? Io a quello posso arrivarci?”. Non ce l’ho contro questi pochi imprenditori con i quali mi è capitato di scambiare quattro chiacchiere, ce l’ho contro la città di cui il loro comportamento mi appare naturale espressione. Ce l’ho contro questo declino nel quale tutti noi sassaresi ci crogioliamo come un vecchio e ricco sifilitico che senza curarsi continua a ricevere sesso a pagamento nel suo letto impestando il prossimo e aspettando la fine in una sibaritica estasi. Ora premetto che io non sono ricco, non ho malattie di origine venerea, non ho mai praticato sesso a pagamento e della precedente metafora mi si attaglia soltanto la faccenda della vecchiaia. Ma ce l’ho anche contro di me perché su un piano allegorico anche quegli altri problemi, come ogni sassarese, ce li ho tutti.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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