Non so se abbiamo paura o è solo un brivido leggero che ci attraversa la mente, ogni mattina, quando saliamo in metro, sui treni dei pendolari, quando attraversiamo il centro in macchina o a piedi, passiamo davanti al Duomo, agli Uffizi, al Colosseo, alla Mole, in Piazza del Plebiscito, al Palazzo dei Normanni.
È un sibilo, come un piccolo brivido di freddo che ci attraversa la schiena, la schiena di questa Italia, da Nord a Sud, Italia che era Italia ma adesso è Europa, che era Mediterraneo ma ora è Occidente. Un brivido che ti tiene sul chi va là, un po in allerta, scrutando l’aria, cercando un nemico invisibile. Come le notti dopo una scossa di terremoto, hai il sonno leggero, il tempo si allunga, ad ogni rumore, seppur piccolo, tutti i soldatini presenti dentro di te si allertano, si preparano, pronti alla difesa o alla fuga. E pensi che quella era la tua casa, il posto più sicuro al mondo e ora non lo è più, non ti fidi più di lei, del posto che ti accoglieva, che ti ha visto crescere. E allora magari invidi quelli che non vivono in una zona sismica, che non vivono come te all’ultimo piano di un condominio di città, che magari stanno in una casetta singola, di un piano, magari in campagna, lontano dalle altre che potrebbero caderle addosso, dove se dovessi aver bisogno di fuggire ci sarebbe l’aria aperta ed un tetto di stelle a proteggerti. Lo sai però che vivi in un condominio, come sai che vivi in una città, grande, in Italia, Europa, Occidente e che sei dentro un “obiettivo sensibile”. Sai che quello è il tuo mondo e allora ti alzi, ti fai la barba, ti vesti ed esci, esci ed attraversi quelli spazi che sai essere parte di te, tu, gli altri ed il tuo piccolo brivido di fianco. È il tuo mondo, che in fondo ti da certezze e protezione, anche se ora ti fidi un po meno di lui. E allora un po ti viene, si, di pensare ad un posto più protetto, meno “sensibile”, un posto sicuro, come il letto della tua casa da bambino, dove i rumori e le paure stanno fuori, dove il tetto e le mura che ti circondano sono lì per proteggerti e non per crollarti addosso e rompere il tuo sonno sereno. E allora, a noi che abbiamo nel naso gli odori del mirto e del lentisco, dei camini e delle braci tra pareti di granito e intonaci bianchi, a noi che abbiamo nelle orecchie i fruscii delle querce, i ritmi del mare sulle sabbie bianche, a noi ci viene di pensarla, si di pensare all’Isola, terra madre che protegge, lontana da questa metropolitana dove si sta stipati tra respiri e brividi sottili, da queste stazioni da attraversare in fretta, da queste strade e piazze e monumenti che potrebbero essere bersagli, da questi luoghi “sensibili”, dove per noi di sensibile c’è solo quel brivido sulla schiena, dove passiamo di fretta e non capiamo perché. Mentre mi sorreggo “all’apposito sostegno” penso all’Isola e con l’altra mano libera afferro lo smartphone e cerco on line, per tornare alla normalità, un po di notizie di quelle parti. Notizie, magari quelle semplici, banali, un incidente di auto, un piccolo politico locale che ruba, un abigeato, un traghetto bloccato al largo dal maestrale, un centenario che festeggia col sindaco e la giunta con fascia e mazzi di fiori d’ordinanza, un ecomostro lasciato a metà a pochi passi da una spiaggia, il resoconto di una sagra, il gol del bomber locale che porterà la squadra in eccellenza o in serie B. Notizie normali, lontano da questi piccoli brividi freddi tra i rumori del metro. E invece trovo anche qui una bomba, dove non avrei mai immaginato di trovarla. A Tonara, un bomba. Tonara, dove per me l’unica bomba avrebbe potuto essere fatta di torrone, morbido, buono, odoroso di miele, di cantina del nonno, di anditi ombrosi, di cucine e camini con le pentole di rame appese. A Tonara. Obiettivo non sensibile, luogo protetto tra querce e lentischi, dove avrei voluto essere ora, seduto su un muretto a secco a guardare l’orizzonte, anziché essere qui, appeso in un metro. Tu a Tonara esci di casa, per respirare magari l’aria del mattino, andare al bar a “berti” un bianchino, a leggere il giornale lasciato sul bancone e commentare con “compare tal dei tali” le notizie che giungono da un mondo pazzo lontano da lì. Tranquillo, con i tuoi pantaloni di velluto a coste, la “ciccia” calata, e le mani in tasca. E trovi una bomba tra te e il bar, tra te e la tua vita. E in nome di chi? Di quale Jihad? Di quale Dio? Io non lo so, ma faccio fatica a capirlo, appeso qui, con una mano al metro, l’altra sullo smartphone e il brivido leggero appoggiato sulla schiena. Tu, perché un Tu ci sarà, che hai lasciato lì per terra la tua rabbia aspettando che esplodesse, con chi ce l’hai? Ti hanno rubato le pecore, non ti hanno pagato un lavoro fatto, ti hanno spostato il muretto a secco, toccato la donna, non ti hanno risarcito un debito, diviso un’eredità, non ti hanno pagato ciò che pretendevi? Tu, chiunque tu sia, stamattina hai distrutto un sogno, forse l’ultimo che ci era rimasto, qui, a noi appesi in un metro. Il sogno della terra Madre che ti accoglie e ti protegge, il sogno di un luogo senza imbecilli, dove magari, se proprio serve, “chill’emu a vidi in piazza ca l’ha più tostu lu murro”, dove ci affrontiamo da uomini, (magari anacronisticamente “balenti”, ma uomini) e non da vigliacchi. Spengo lo smartphone, il brivido mi picchietta la schiena, le porte del metro si aprono, bisogna scendere, siamo arrivati, anche oggi, anche se forse non so più nemmeno dove stiamo andando. Esco nella folla, in bocca un sapore di torrone che sa di mandorla amara. Milano, Parigi, Tonara, terre di uomini piccoli, tutti uguali, che per distruggere nemici distruggono sogni. Esco per strada, tra le auto e la nebbia del mattino, e ho un immagine in mente. Di tutti noi, da Tel Aviv a Parigi, da Milano a Tonara, fermi per un attimo, seduti tutti in fila su un muretto a secco, i piedi penzoloni e la testa in aria, ad accorgerci che, nonostante tutto, anche oggi è uscito il sole. E l’aria sa di torrone, buono.
di Giovanni Cubeddu
Ispirato da un trafiletto apparso sulla Nuova Sardegna on Line di un paio di giorni fa (dopo i fatti di Parigi) su una bomba piazzata sotto un palo della luce in una strada di Tonara (Sardegna).
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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