Quando leggo commenti di sardi come me che plaudono alle campagne d’odio ed istigazione di uno come Salvini, mi torna non so perché alla mente il racconto avvilito di un compagno di studi, ai tempi dell’università. Era appena tornato dalla settimana bianca, trascorsa assieme ad un gruppo di amici del paese durante le vacanze natalizie. Erano i tempi degli ultimi sequestri di persona, in Sardegna. E il mio amico mi raccontò di quante volte, ogni giorno, lui e i suoi compagni di vacanza venivano trafitti da occhi acuminati come lame, non appena qualcuno di loro rivelava di essere sardo. E mi raccontò, il mio amico, di una signora che, compreso di essere salita su un autobus carico di sardi, scappò a rotta di collo alla prima fermata, terrorizzata. Tutto questo accadeva venticinque anni fa. Per il mondo eravamo tutti sequestratori. Così come oggi, grazie a seminatori d’odio come Salvini, ogni immigrato è un terrorista, un ammalato di Ebola, un ladro, un parassita. La storia si ripete sempre, ma i ruoli degli interpreti cambiano. E qualcuno passa da vittima a carnefice.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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