In origine questo post era stato pensato per sottolineare con doppio segno rosso la clamorosa svista della sottosegretaria alla Cultura in un commento ad un post su Facebook (per inciso: scritto per attaccare pesantemente Soru). “A fatto” anziché “ha fatto”, la H del verbo avere dimenticata come potrebbe accadere ad un ragazzino delle scuole elementari.
La Barracciu ha un modo molto sbrigativo di scrivere sul suo social preferito e, ad esempio, è solita usare il segno “X” per rendere la preposizione “per”, secondo la semplificazione del linguaggio tipica degli sms. Fa molto giovanile, suppongo, in linea con quell’immagine che le preme molto offrire di sé stessa.
Oppure, senza pensarci troppo, lei ritiene sia più immediato e pratico ricorrere a questo slang.
Ignazio Angioni ha scelto per la sua corsa alla segreteria del Pd lo slogan “Uno X molti”. Angioni è il candidato sostenuto proprio dalla Barracciu.
Però una sottosegretaria alla Cultura dovrebbe sapere che ogni sua dichiarazione scritta ha un valore aggiunto: lei parla da rappresentante del Governo della Repubblica, da esponente di un mondo della Cultura che ha il dovere di curare i contenuti e la forma della nostra nobile lingua.
Ma in realtà il post vuole andare oltre refusi e semplificazioni del linguaggio care alla Barracciu per analizzare i contenuti di una sua recente uscita pubblica, anche questa diffusa su Facebook.
Noi di Sardegnablogger non vogliamo passare per prevenuti, per quelli che attendono dietro il muretto a secco il passo falso del nemico per giustiziarlo. Noi commentiamo e prendiamo posizione su fatti che riteniamo meritevoli di essere approfonditi e sottolineati. Un infortunio grammaticale del sottosegretario alla Cultura è uno di questi fatti, lo è anche (si veda il post di Giampaolo Cassitta di sabato scorso) l’inaccettabile tono di certe sue risposte a commentatori che pongono molto civilmente delle questioni.
La Barracciu offre molto materiale di discussione, insomma, pur nella totale assenza di veri contenuti politici. Tacere per il timore di essere considerati prevenuti sarebbe un cedimento.
Veniamo al punto.
Un partito di sinistra non è un supermercato dove viene esposta ogni merce, un posto concepito per accontentare tutti i consumatori affinché se ne abbia il massimo profitto. Un partito di sinistra difende, alimenta e promuove i suoi valori storici, magari cercando di declinarli alla modernità senza stravolgerne i principi. Il mondo si trasforma, dicono, ma io penso che certi insegnamenti sul dovere della giustizia sociale restino sempre validi, comunque il mondo cambi. Un partito di sinistra non deve pensare semplicemente ad inseguire il consenso: bisogna avere la forza di rinunciare ad un applauso, se questo applauso costa una rinuncia alla propria natura.
Io scrivo queste righe perché in un post pubblicato venerdì scorso la Barracciu ha ironizzato sul dibattito aperto dalla copiosa emorragia di tessere che stanno dissanguando il Pd. “Era meglio il Pd di Bersani al 24 per cento e con 400 mila tessere in più o è meglio il Pd di Renzi al 40,8 per cento ma con 400 mila tessere in meno?” chiede, sarcastica, la sottosegretaria.
Passiamo pure pietosamente oltre la elementare constatazione che non si possano porre sullo stesso piano, per tentarne un raffronto, dati di elezioni politiche con risultati di elezioni europee, peraltro queste ultime caratterizzate da una bassissima affluenza. Quel 40,8 per cento è un dato molto illusorio e, ogni volta che lo si ricorda, dovrebbe seguire una nota a piè di pagina che ricordi come è maturato e in quali condizioni.
Il dubbio è un altro: sarà anche vero che una tessera in sé è solo un rettangolo di plastica, come bene ha argomentato Luca Ronchi sabato scorso su questi schermi, ma 400 mila tessere in meno suggeriscono confusione, sbalordimento, un senso di comunità che viene meno.
Non è solo uno spessore in meno nel portafogli. È, invece, il tarlo dentro la testa di molti elettori e militanti di sinistra. Come possono sentirsi custodi di una cassaforte di valori quegli uomini e quelle donne che dodici anni fa affollarono le piazze per protestare contro l’annunciata soppressione dell’articolo 18 e, oggi, dovrebbero riconoscersi in un leader tentato dal compiere esattamente la stessa operazione di un vecchio governo Berlusconi?
È solo un esempio – aldilà di come la si pensi sull’articolo 18 – cui ne potrebbero seguire tanti altri. Credo spieghi tante cose.
Quattrocentomila tessere in meno sono una crisi d’identità, non un caso o una moda che svanisce.
Quattrocentomila tessere in meno sono un popolo che si chiede perché Denis Verdini e Luigi Zanda abbiano votato allo stesso modo nel 99,8 per cento dei casi, in questo primo anno e mezzo di legislatura.
Forse sono anche un popolo che resta sbalordito di fronte ai toni feroci nelle risposte di un sottosegretario del Partito che ha scelto di chiamarsi Democratico.
Si può inseguire il consenso uscendo oltre gli steccati della sinistra, certo, magari compiacendo altri elettorati con posizioni nuove sull’articolo 18. Si può anche monopolizzare l’attenzione mediatica ricorrendo ad annunci quotidiani, occupando ogni possibile spazio della comunicazione. Forse se si cerca un consenso a breve termine questa tecnica può funzionare. Anche il governo Monti, per un certo periodo, ebbe un grande consenso popolare.
Ma così facendo si rinuncia alla gente di sinistra, quella che da decenni, di notte, dopo una giornata di lavoro, va ad attaccare i manifesti prima delle elezioni di ogni ordine e grado.
Ci si rivolge ad altri, si disconoscono i propri valori e si accettano tutti quelli che possano garantire un utile immediato. Così si diventa un supermercato. E poi? (Già, il poi non esiste, se è vero che alle primarie del 2012 il motto di Renzi era “Adesso!”)
Cosa c’entra tutto questo con gli strafalcioni, l’insofferenza e le analisi semplicistiche e strafottenti della Barracciu?
C’entrano. Denotano la stessa perdita di tensione, di coscienza storica, di responsabilità, la trasformazione di un’area di pensiero in un supermercato. Negli scaffali ci si trova di tutto, a parte la H del verbo avere.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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