Ottenuta la nomination repubblicana per le elezioni del 2008, l’eroe di guerra John McCain si trovò non solo nella scomoda posizione di dover affrontare il quotatissimo avversario democratico Barack Obama, ma anche di non sapere chi diavolo mettersi al fianco nel ruolo di vicepresidente. Tutti i possibili candidati, per un motivo o per l’altro, erano invisi ad una parte o all’altra del partito, rendendo impossibile una sintesi. Lo staff di McCain, esaminando tutte le alternative come in un casting cinematografico, s’imbatté quasi per caso in un comizio della governatrice dell’Alaska, Sarah Palin. Ne rimase folgorato. Era una bella donna, madre di cinque figli, era una donna fortemente religiosa e si distingueva per la sua battaglia contro l’aborto, tanto da aver tenuto l’ultimo dei figli, nonostante i controlli durante la gravidanza avessero rivelato che era affetto dalla sindrome di down. Inoltre, la Palin aveva dalla sua i “Guerrieri della preghiera”, un gruppo di cristiani radicali di cui lei stessa faceva parte. Maneggiava pure con disinvoltura le armi e si cimentava nella caccia all’alce, secondo i suoi sostenitori con brillanti risultati Insomma, il profilo perfetto per una candidata conservatrice, tutta casa, chiesa e poligono di tiro. Un unico neo: una figlia sedicenne in attesa di un figlio, dettaglio famigliare che avrebbe potuto alienarle qualche simpatia. Il vecchio McCain la incontrò e la ingaggiò subito, nonostante nello staff qualcuno storcesse il naso: prima di diventare governatrice dell’Alaska, Stato dal risibile peso specifico nello scacchiere politico statunitense, la Palin era stata sindaco di una paese di 10 mila abitanti. La sua esperienza politica finiva là. Alla fine del mese di agosto del 2008, McCain la presentò ufficialmente come sua vice e la signora dell’Alaska, con i suoi tailleur attillati e il suo sguardo intrigante, subito sembrò piacere all’elettorato repubblicano.
Il capo della campagna elettorale di McCain era Steve Schmidt, spin doctor molto quotato, benché solo 38 enne. Spiegò subito alla Palin come funzionava il gioco: avrebbe perso completamente la privacy e ogni sua mossa sarebbe stata concordata preventivamente con lo staff, che l’avrebbe istruita ed indirizzata prima di ogni appuntamento pubblico, da quel momento alle elezioni di novembre. Le venne spiegato anche che la stampa avrebbe scavato a fondo nella sua vita, perciò eventuali scheletri nell’armadio andavano dichiarati prima dell’apertura delle ostilità. Durante un trasferimento da un comizio all’altro su un jet privato, Schmidt propose alla Palin la simulazione di un’intervista: lui le avrebbe rivolto delle domande a sorpresa di politica estera, per saggiare la preparazione della candidata alla vicepresidenza, su cui tutto lo staff di McCain nutriva fortissimi dubbi. Il resoconto di quell’esercizio è forse il momento più drammaticamente rivelatore del film “Game Change”, cronaca della campagna elettorale repubblicana di quel 2008.
Schmidt: “Governatore, se le chiedessero quali relazioni politiche intende stabilire con il Regno Unito per via del nostro comune impegno in Iraq, che direbbe?”
Palin: “Io credo che abbiamo sempre avuto buoni rapporti con la regina d’Inghilterra e che il senatore McCain si impegnerà perché restino tali”.
Schmidt: “Governatore, se mi permette: la regina non è il capo del governo britannico…”
Palin. “Ah sì? E chi è?”
Schmidt: “Il primo ministro”
Palin: “Ah, non lo sapevo…”.
Schmidt: “Governatore, a proposito del nostro impegno militare nel mondo, perché i nostri militari sono in Iraq?”
Palin: “Perché….perché Saddam Hussein ci ha attaccato l’11 settembre del 2001…”
Schmidt: “No governatore, è stata Al Qaeda, non Saddam Hussein…”
Palin: “No, è stato Saddam Hussein…”.
A quel punto, Schmidt preferì fermarsi. Ma ebbe ben chiaro che la vicepresidente designata non avrebbe potuto reggere l’urto di una intervista, anche blanda e generica, sulle questioni del mondo. Non ne sapeva nulla, tutto quel che conosceva di politica non oltrepassava i limiti dell’Alaska e al suo Stato continuava a rivolgere il suo principale interesse. E, infatti, le prime interviste furono un autentico calvario, cui seguì una pioggia di esilaranti parodie televisive che, impietosamente, mettevano in evidenza la sua totale inadeguatezza al ruolo. McCain, uomo tutt’altro che sprovveduto, capì subito che andava incontro al disastro, ma era ormai troppo tardi. E lo capì anche il suo staff, che finì con abbandonare la cacciatrice di alci e il suo sogno di gloria. La ricostruzione del film è agghiacciante: una nutrita squadra di collaboratori spiega alla possibile vicepresidente degli Stati Uniti aspetti assolutamente elementari sulle relazioni internazionali e sugli equilibri diplomatici, conoscenze di base per un qualunque studente delle superiori ma di cui lei era completamente ignara e la cui comprensione, peraltro, le risultava ardua. A novembre, con la vittoria del docente di diritto costituzionale Barack Obama, la meteora Sarah Palin sparì dal radar della politica mondiale, dopo avere incredibilmente sfiorato la seconda carica politica più potente al mondo.
Io non so se Donald Trump abbia conoscenze più profonde di Sarah Palin sulla politica estera. Non mi sorprenderebbe, se così non fosse. Ma l’impressione è che il sistema politico americano e l’orientamento radicale dell’opinione pubblica sempre più consentano l’ascesa ai vertici istituzionali di personaggi (nel letterale senso del termine) eccentrici, dalle dubbie competenze, la cui scelta è nulla più che una questione di immagine. Otto anni fa, il carisma e l’abilità di Barack Obama impedirono un vicepresidente americano come Sarah Palin. Oggi, con una deriva populista ormai inarrestabile e un avversario democratico inconsistente, nessuno ha potuto fermare Donald Trump
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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