Una delle colleghe de Il Giornale di Sardegna entrò in redazione ripetendo l’annuncio dell’archeologo della Soprintendenza: “Se dovessi trovare altri reperti, li ributterei a mare: tanto non sapremmo dove sistemarli”. Sul momento mi sembrò una provocazione. Il proposito dell’archeologo emerse alla conferenza stampa di avvio lavori per la costruzione del terminal crociere, all’Isola Bianca.
Erano gli anni dell’imponente programma di opere pubbliche al centro storico di Olbia: tunnel, lungomare, restyling del Corso e di via Regina Elena, dove non trascorreva giorno senza che pezzi di antiche navi romane o altre resti del più remoto passato fenicio fossero riportati alla luce dagli scavi dei cantieri.
Un giorno – anno 2001, lavoravo a L’Unione Sarda – fummo convocati a mezzogiorno in punto da quello stesso archeologo, appuntamento davanti al centralissimo Molo Brin: era spuntato il monumentale albero di una nave romana e il ritrovamento ci venne descritto come epocale, perché testimoniava dell’attacco dei Vandali al porto gallurese. Man mano che tornavano alla luce, questi reperti venivano mandati al vicino aeroporto Costa Smeralda, dove in un hangar si curava il loro restauro. In vista dell’esposizione all’imponente museo archeologico, in costruzione proprio in quegli anni.
Tra la conferenza stampa per il ritrovamento dell’albero della nave e la rassegnata provocazione dell’archeologo passarono, credo, cinque anni.
Cinque anni durante i quali, inesorabilmente, i reperti archeologici vennero declassati da risorsa a impedimento, intralcio al lavoro dei cantieri cui, spesso, la Soprintendenza imponeva lo stop. A Olbia i cantieri venivano prima di tutto.
Anni durante i quali l’allora sindaco di Olbia, nei suoi comizi, continuava a parlare di navi “romaniche”, nonostante i collaboratori gli ripetessero che tra “romano” e “romanico” passa una bella differenza.
Il museo archeologico venne poi inaugurato, ma era praticamente vuoto e solo perché c’era una campagna elettorale di mezzo e il ministro dell’Interno Pisanu in visita in città.
Oggi quella struttura è diventata un centro congressi e il patrimonio archeologico che ospita resta, tutto sommato, un fatto marginale, visibile nelle sei ore di apertura quotidiane, al netto delle due giornate di chiusura settimanale. Per patrimonio esposto si intendono due navi su undici: le altre sono rimaste, a quanto se ne sa, nel loro provvisorio ricovero, un hangar dell’aeroporto.
Ma, tutto sommato, al museo è andata meglio che al vicino Teatro Michelucci, concepito come simbolo del risorgimento culturale in una città tutta presa dal boom economico. Quel teatro non è mai stato aperto e il sindaco delle “navi romaniche”, in una conferenza stampa di qualche anno fa, ne propose persino la demolizione.
Perché scrivo del caso Olbia e della risorsa cultura seppellita? Perché con gli anni si trovano spiegazioni a quelle che, in un primo momento, possono apparire solo provocazioni e sciocchezze. Come quella dell’archeologo esasperato e tentato di restituire al mare i reperti ritrovati, demoralizzato nel constatare che la sua opera di riscoperta del passato veniva percepita solo come una gran rottura di coglioni.
Ma ho scritto soprattutto perché quella parabola olbiense mi è tornata alla mente in questi giorni, nel leggere delle liti sulla gestione dei Giganti di Monte Prama.
Sapremo conquistarci, uno per uno, la consapevolezza del loro immenso valore e offrire loro una sistemazione adeguata? Oppure dovremo rimpiangere di non averli lasciati a riposare sotto terra?
Sapremo essere Giganti?
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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