Io faccio un po’ di confusione tra Padre Pio, le psicosette e quei predicatori americani che si fanno chiamare reverendo e riempiono i saloni degli hotel di gente che applaude e piange mentre loro urlano “Gesù mi ha detto che…” e giù a dire cosa gli ha detto Gesù. Quindi sono il meno adatto in questa puntata dell’ “Agenda Scorsa” a ricordare che nel giorno di oggi del 2002 Giovanni Paolo II proclamò santo il monaco cappuccino con le stigmate. Diceva lui.
E non voglio neppure buttarmi nelle polemiche sull’acido fenico che secondo certi gli serviva a scorticarsi le mani. Sembrerei uno di quei socialisti fine Ottocento col cravattone nero che nelle osterie cercavano di sostenere scientificamente la falsità storica del diluvio universale. Sarei più portato a parafrasare Bertolt Brecht e il suo “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” dicendo “Sventurata la chiesa che ha bisogno di santi”. Ma a ben pensarci la Chiesa con la C maiuscola nome proprio, quella cattolica, con i santi ci va a nozze. E’ da un bel mucchietto d’anni che non riesce a farne a meno. E quando c’è un po’ di crisi ne aggiunge qualcuno e sembra che la cosa funzioni egregiamente. E’ che noi abbiamo questa puzza sotto al naso da illuminati laici che non ci fa valutare bene le cose. Ricordo quando Berlusconi sdoganò i fascisti e io pensai: “Si è strozzato da solo nella culla, non gli crederà più nessuno”. E si è visto quanto avevo ragione. O quando Salvini ha cominciato a trumpeggiare e io alle sparate più grosse pensavo: “Si sta scavando la fossa”. E invece la stava scavando a noi. E così la Chiesa con tutto l’armamentario di santi e di incitamento alla necrofilia con pezzi di morto e morti interi portati a spasso. Quando ho visto le ultime isteriche immagine della parata funebre, mi sono detto: “Ci siamo, dopo duemila anni questi sono allo stremo”. Chiamamelo stremo! Dice che le reliquie sono la testimonianza dell’opera di Dio. Io non ignoro del tutto i significati che storia, fede e teologia attribuiscono al culto delle reliquie. Peraltro non praticato soltanto dalla Chiesa e non soltanto dalle religioni monoteiste. Però, da osservatore non distaccato perché vivo e opero in un ambiente intriso di cultura cattolica, pensavo che uno dei punti forti del cattolicesimo rispetto ad altri rami del cristianesimo e ad altre religioni fosse quello di adattarsi ai tempi. Ed è un po’ vero. Ma appena sente puzza di crisi tira fuori santi e reliquie e si rituffa nel suo rassicurante passato. Che quindi cessa di essere passato e diventa vivace (per modo di dire, dato il clima cimiteriale) presente. Si pensi alla situazione mondiale nella quale Wojtyla ordinò la gigantesca kermesse di Padre Pio Santo subito e senza stare a rompere le balle con tutti questi dubbi. O a quando un Papa come quello attuale, sul quale i cattolici non integralisti ripongono tante speranze, decise di portarne a spasso un simulacro al silicone che se lo metti in mano a Dario Argento te ne fa un capolavoro. Eppure ne ha fatto non capisco bene perché un’icona proprio della misericordia, argomento che, sempre da osservatore, definirei il punto più alto della predicazione di Bergoglio. Insomma, proprio i papi moderni hanno chiuso nell’armadio tutti i dubbi e anche qualche certezza negativa che i loro predecessori del secolo scorso hanno nutrito su questo cappuccino (nel senso di monaco). A cominciare dai pontefici che presero molto sul serio la perizia compiuta su di lui dal prete-scienziato Agostino Gemelli, che lo definì “uomo a ristretto campo di coscienza” e ne parlò come di un mistico da clinica psichiatrica. O la malcelata diffidenza che Giovanni XXIII nutrì nei suoi confronti. O il fatto che Albino Luciani, tra le azioni del suo mese di pontificato, fece in tempo a scoraggiarne il culto. O le relazioni del vescovo inquisitore Carlo Maccari che scrisse: “Un uomo non eccezionale per le sue qualità naturali e tutt’altro che esente da ombre e difetti è riuscito a crearsi una popolarità che ha pochi riscontri nella storia religiosa dei nostri tempi”. Un culto nato nell’Italia misera che aveva bisogno di sacro. A esempio nel 1919, come scriveva il prefetto di Foggia, quando una folla di miserabili si contendeva “gli sputi sanguinolenti del monaco tubercolotico”. E ora che non moriamo, almeno noi italiani, come allora, perché il Vaticano si è impadronito di mummie, fazzoletti insanguinati e di tutto il resto del brand di Padre Pio? Forse perché alla miseria non c’è fine e la gestione del sacro è sempre un buon affare. Non soltanto sul piano economico.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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