Vi chiederete: a chi interessa il festival di Sanremo? Con tutti i problemi che abbiamo mica possiamo pensare alle canzoni. Non c’è stato il Natale, niente cenone di Capodanno, il carnevale è inutile visto che siamo quasi un anno con la mascherina, San Valentino non ha senso senza baci e abbracci e mi vieni a parlare del Festival di Sanremo? Ne parlo perché quelle canzonette fanno parte della mia vita. Lo vedo dal 1967. Fu mia madre, in realtà, a farmi innamorare di quella strana gara canora che a quei tempi rappresentava davvero l’Italia. Oppure no. Nel 1971, anno in cui esce il film “la classe operaia va in paradiso”, nasce Fantozzi, esce il primo numero del “Il manifesto quotidiano”; viene ucciso per la prima volta un magistrato a Palermo, il Procuratore capo Pietro Scaglione, l’Inter vince il suo undicesimo scudetto con due giornate d’anticipo e Boninsegna è il capocannoniere con 29 gol, Raffaella Carrà lancia il tuca tuca, a Sanremo vincono Nada e Nicola di Bari con “il cuore è uno zingaro”, battendo “che sarà” interpretata dai Ricchi e Poveri e Josè Feliciano. Al terzo posto la canzone che diventerà un manifesto della bellezza: “4 marzo 1943” di Lucio Dalla che, in realtà, si chiamava “Gesùbambino” e conteneva la frase, censurata da mamma Rai: “e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino”. Per quei tempi veramente troppo. Sono passati 50 anni da quei giorni ed oggi ci troviamo davanti ad un Sanremo che non s’ha da fare. E’ ancora lo specchio del paese? Direi di si. E’ passato del tempo ma le canzonette sono l’habitus sociale di un’Italia incarognita e triste. Io sarei per Sanremo. Senza pubblico, senza nulla. Ma le canzoni, almeno quelle, fatecele sentire e, datemi retta: lasciate perdere Aristotele che, ricordiamocelo sempre: sono solo canzonette.
(Giampaolo Cassitta)
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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