Ci sono momenti in cui le parole non hanno il peso materiale e non riescono a raccontare le emozioni. In questo caso negative. All’Asinara, nel 1993, quando me lo trovai davanti, dimesso e silenzioso, mi resi subito conto che quel signore aveva un peso specifico terribile: quell’uomo, Totò Riina, rappresentava il male. Era la costruzione più torbida di ciò che neppure potevamo immaginare. Rappresentava il cinismo più forte, capace di digerire qualsiasi cosa. Attentati, stragi, uomini, bambini. Quell’uomo, apparentemente piccolo, semplice, dimesso, che non chiedeva niente, aveva la certezza di poter continuare ad ottenere tutto. Lavorava sul silenzio. Era il rappresentante supremo del silenzio. Un non rumore tra morte e disperazione. Però è stato anche padre di figli. Ha potuto accarezzarli e crescerli. Ha avuto attimi “normali”. Con discrezione però. Ce lo racconta il figlio Salvo, istituzionalizzato dalla trasmissione Porta a Porta, presentato come uno scrittore che ha qualcosa da dire sulla propria famiglia. Uno scoop come poteva essere quello di intervistare il figlio di Hitler, dello psicopatico Gilles de Rais, di Bin Laden, di Tomas de Torquemada. Ne sentivamo il bisogno? Sicuramente no. Infatti, il figlio di Totò Riina ci racconta che lui il padre non lo giudica perché così è scritto sulla Bibbia: “onora il padre e la madre”. Nessuno ha ricordato a questo signore che il padre è stato giudicato colpevole di oltre cento capi di imputazione, è condannato a numerosi ergastoli inflitti da diverse giurie e tribunali. Al padre di Salvo lo ha giudicato la storia.
Perché la mafia è quella cosa che fa finta di non esistere, che cammina negli interstizi delle scelte, che utilizza i soldi ottenuti dalle estorsioni, dalle vendite della droga per creare altre opportunità. Perché la mafia, come dice Salvo, il figlio di Totò Riina “può essere tutto e nulla”. Non mi piacciono i rumori di fondo che si creano per muovere le parole. Non mi sono mai piaciuti quelli che urlano, schiamazzano con la certezza di essere più ascoltati degli altri. Questa strana intervista Bruno Vespa ce la poteva risparmiare. In fondo per capire chi è Totò Riina non ho bisogno di chiedere al figlio, così come non ho bisogno di scoprire dai parenti che pasta d’uomo fosse Hitler. La mafia, purtroppo, è una cosa dannatamente seria che non merita di sedersi in televisione. Anche se si è seduta da molto tempo nei salotti “cosiddetti” buoni della politica, della finanza e anche della cultura. Ma queste cose, chiaramente, Salvo Riina non le sa. Lui ha trascorso un infanzia diversa. Non ha pensato che tutti gli uomini della scorta di Falcone e Borsellino erano giovanissimi e speravano, così come gli stessi giudici, in una vita diversa. L’intervista a Porta a Porta è un graffio nell’anima di chi, quotidianamente, combatte la mafia e il potere mafioso. Quell’intervista mi lascia sgomento. La mafia non si intervista. Si combatte. Anche con le parole.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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