Credo che Salvini sappia bene quello che dice e non sappia però ponderare le conseguenze. Parlare alla pancia della gente in fondo è facile. Lo fanno tutti. Se qualsiasi politico dichiara che gli stipendi debbono essere aumentati, otterrà l’applauso unanime di chi da anni attende – e con ragione – questo riconoscimento. Affermare con forza e passione che bisogna difendere gli italiani prima di tutto genera consensi, perché detta così può sembrare anche una frase giusta, con un ragionamento legato agli ideali squisitamente patriottici. Se poi, il Salvini, difende la polizia, otterrà sicuramente il plauso di una parte della platea. Ricordo però a Salvini che il precedente segretario della Lega risulta condannato definitivo per oltraggio al Pubblico Ufficiale: Roberto Maroni (il Bobo) si barricò nella sede della Lega opponendo resistenza passiva allo sgombero da parte delle forze dell’ordine. [ecco la notizia, nell’archivio storico del corriere.it] Quindi, davanti a quell’episodio, affermare che: “Carabinieri e polizia devono poter fare il loro lavoro. Se devo prendere per il collo un delinquente, lo prendo. Se cade e si sbuccia un ginocchio, sono cazzi suoi” farebbe storcere il naso proprio ai sostenitori della lega e quella dichiarazione non sarebbe più condivisa: “Quella è un’altra cosa, si deve contestualizzare, erano altri tempi”. Certo, si deve contestualizzare ed erano altri tempi. Le esternazioni politiche sono come gli abiti degli stilisti: devono funzionare solo per una stagione e poi, magari, si possono ripresentare con qualche piccolo accorgimento ma, soprattutto, non vanno bene per tutte le taglie. Lo stilista Salvini ci ha abituato a queste derive piuttosto colorite che dovrebbero, in un paese normale, essere considerate proprio così: espressioni colorite, così come mia nonna liquidava le esternazioni estemporanee di suo marito, quando discettava di politica davanti al televisore inframmezzando parole e virgole sassaresi (gazzu) in maniera vigorosa e compulsiva. Le espressioni colorite di nonno a me facevano ridere molto. Quelle di Salvini meno. Anche perché il segretario politico della Lega se la prende con la corte europea dei diritti umani che, guarda caso, si è schierata a favore del reato di tortura. “Si dovrebbe occupare d’altro” ha dichiarato il Salvini che è come chiedere a Pirlo di giocare una partita di cricket e a Michelangelo Buonarotti di cucinare spaghetti cacio e pepe per un esercito (magari sia Pirlo che Michelangelo riescono pure a farlo e farlo bene). Questa commissione impicciona pensi ad altro che alle cose nostre ci pensiamo noi anche perché, sempre Salvini docet: “padroni in casa nostra”. Non so, davvero se questa strategia politica possa pagare. Ma ho paura. Io conosco le facce di quelle persone incattivite negli anni, che non hanno mai ottenuto nessuna risposta da chi aveva promesso cose impossibili e chiaramente non ha mai mantenuto la parola, da chi ha ottenuto un pacco di buoni benzina o un invito a cena in cambio di un voto e adesso, quando lo sfascio è arrivato, pensa di ricorrere alle maniere forti: i delinquenti sono sempre gli altri. Non siamo più capaci di dialogare, di discutere, ascoltiamo passivamente ma non riusciamo a sentire le reali esigenze dell’altro. Non vogliamo più sederci davanti ad un tavolo e provare a guardarci negli occhi. No, la risposta deve essere necessariamente violenta perché tutto ciò che accade fuori dal nostro recinto è costruito dai cattivi, dai delinquenti che dobbiamo assolutamente combattere e respingere con le maniere forti. Quando poi i cattivi, i delinquenti, vestono nello stesso nostro modo, parlano la nostra stessa lingua, vivono proprio accanto a noi allora……. beh, allora c’è un silenzio tombale. Non ridete delle parole di Salvini. Per favore, non fatelo. Dietro si cela tutto il rancore inespresso negli anni, tutta l’impossibilità di poter affrontare le questioni con le parole, tutto quel modo spiccio e livido di risolvere i problemi. Purtroppo per Salvini e per chi crede in lui questo paese non può ripartire con gli insulti e il manganello. Su questo fronte, almeno mi sembra, abbiamo già dato.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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