Due giorni fa ho appreso la triste notizie del crollo di una parte della muratura del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore. Questa notizia mi ha scosso e turbato particolarmente, ma soprattutto mi ha fatto riflettere e in questo articolo vorrei condividere col lettore alcune di queste riflessioni. Non solo perché il Nuraghe Alvu è monumento eccezionale. Non solo perché ti mette di fronte al fatto che il nostro immenso patrimonio archeologico è di una fragilità estrema e non può essere abbandonato a sé stesso. Non solo per il senso di impotenza che si prova di fronte a un fatto del genere. Ma perché sono giunta alla conclusione che è necessario ripensare integralmente le nostre modalità di approccio al patrimonio archeologico, in primis tutto ciò che concerne lo scavo e il restauro di un monumento, e infine la sua fruizione. È necessario svolgere un grosso lavoro che abbia impatto sulla coscienza delle persone, di tutte le persone coinvolte, che con diversi ruoli corrispondono alla società nel suo insieme, secondo il concetto di “bene culturale” come bene comune, eredità comune, eredità per i posteri. Il Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore non è certamente tra i più conosciuti della Sardegna e son pronta a scommettere che schiere di persone sentendo questa notizia diranno che anche se crolla ne restano altri 8000 ed è normale che i nuraghi crollino dopo millenni. Da un certo punto di vista questo sarebbe anche vero. Ma per andare più in profondità alla questione io mi e vi faccio un’altra domanda: se il nuraghe Alvu non fosse stato scavato e restaurato, e poi sostanzialmente abbandonato a se stesso senza più manutenzione, sarebbe ugualmente crollato? Ovviamente questa domanda è destinata a restare senza risposta, ma solleva alcuni punti su cui voglio portare il lettore a riflettere. Premesso che scavare e restaurare tutti i nuraghi della Sardegna non è naturalmente pensabile, ogni volta che si sceglie di scavarne uno, la responsabilità del destino di quel monumento non è più del tempo e degli agenti atmosferici, bensì diventa della nostra società, a 360 gradi. Una volta che vengono spese ingenti cifre pubbliche per lo scavo e il restauro di un monumento non è pensabile che poi questo venga lasciato in balia degli agenti atmosferici. Le strutture e i siti archeologici scavati diventano fragili, la terra e i crolli che nei millenni hanno protetto i resti permettendo che giungessero fino a noi, vengono rimossi lasciando dei ruderi esposti agli agenti atmosferici quando non anche al vandalismo o a usi impropri. Ogni sito scavato necessita di restauro conservativo e consolidamento, e di un monitoraggio costante, oltreché di una manutenzione continua. Cose che purtroppo, nella maggior parte dei casi non vengono affatto garantite. Piange il cuore vedere siti di eccezionale valore architettonico, storico, culturale, degradarsi irrimediabilmente di anno in anno. In questo senso, spiace dirlo, il nuraghe Alvu è uno dei tantissimi in queste condizioni. Certo i nuraghi sono tanti, ma il nuraghe Alvu è come un gioiello prezioso. Si distingue da tanti. Si distingue per l’eccezionale bicromia dei conci utilizzati per costruirlo, che alterna il bianco al nero. Si distingue per la preziosità della sua camera a tholos, fortunatamente ancora integra dopo il crollo dei giorni scorsi. Una camera che lascia senza fiato per la sua bellezza e per la presenza al suo interno del pozzo accanto al focolare, due elementi fondamentali per la comprensione del reale significato dei nuraghi, comprensione da cui siamo ancora ben lontani, nonostante la quantità dei nuraghi ancora esistenti e il numero sempre crescente di scavi e ricerche che spingono a mettere in discussione i vecchi paradigmi e ad aprirsi a nuovi modelli interpretativi. Il Nuraghe Alvu ha avuto la sorte di essere stato scavato in tempi recenti, nel 2006, rivelandoci tutta l’importanza dei suoi contesti, poi pubblicati solo parzialmente negli anni successivi. Contestualmente è stato anche oggetto di restauro con ripristino delle murature per andare a colmare una grossa breccia sul lato settentrionale. Si legge che per l’intervento sono stati utilizzati i blocchi originali del nuraghe ricollocati in opera a secco. Dopo appena 12 anni, il crollo ha riguardato esattamente tutta la parte restaurata, mettendo però a rischio anche quanto è stato per il momento risparmiato dal crollo. Senza voler additare nessuno, non si può nemmeno dare la colpa a un anno di abbondanti piogge, dato che in 3500 anni probabilmente di piogge il Nuraghe Alvu ne ha visto parecchie. Bisogna quindi farsi qualche domanda. Non sono né ingegnere, né architetto, né restauratore, ma credo che occorra ammettere che per restaurare le murature di un nuraghe servano conoscenze approfondite di statica e una maestria che la nostra “civiltà” non padroneggia così bene come i nostri antenati dell’età del Bronzo. Non per niente non abbiamo la più pallida idea di come realmente li costruissero, di conseguenza non siamo in grado di restaurarli in modo adeguato e duraturo. Questa impressione si rafforza se pensiamo a altri nuraghi restaurati di recente, che presentano varie e preoccupanti problematiche. Da quanto detto dovrebbe essere ancora più chiaro quanto studio precedente, e quanta cura nella scelta dei materiali e nell’esecuzione del progetto ci dovrebbero essere dietro ogni restauro. Tutti elementi che l’attuale sistema degli appalti pubblici non garantisce. Da professionista archeologa sono sempre più sconcertata nel vedere come in ogni appalto pubblico la logica non sia quella di garantire la qualità dei lavori e quindi la sicurezza pubblica, ma piuttosto prevalga l’assurda logica del ribasso. Logica che porta a elaborare i progetti in tempi non adeguati alla loro complessità, che porta a sottopagare i professionisti, che non sono di fatto messi in condizioni di lavorare bene, e infine, sempre per la medesima logica, a utilizzare materiali scadenti. Fino a quando saremo disposti come professionisti e come cittadini a accettare queste regole assurde? Il crollo di due giorni fa, avvenuto a causa delle forti piogge, ci mostra il tristissimo spettacolo di una struttura a rischio di ulteriori crolli, il sito archeologico è stato interdetto ai visitatori. La preziosa tholos, ancora intatta internamente, è in grave pericolo, ora maggiormente esposta alle infiltrazioni d’acqua. Mi auguro che le persone fisiche che rappresentano le autorità competenti stiano già pensando a come intervenire d’urgenza per salvare questo prezioso monumento su cui sono state già investite risorse pubbliche. Probabilmente è così. Tuttavia credo sia importante che un numero maggiore possibile di persone siano al corrente di quanto accaduto, non solo per il nuraghe Alvu, che speriamo con tutto il cuore possa essere salvato, ma anche come monito per quanto accade nel resto della Sardegna al nostro prezioso patrimonio. Affinché ognuno si senta pienamente coinvolto nel rispettare e tutelare i nostri monumenti, rispettandoli prima di tutto in prima persona e segnalando senza paura abusi, usi impropri e situazioni di pericolo. Ci sentiamo impotenti, ma in realtà ognuno può fare molto per contribuire alla conservazione delle testimonianze eccezionali delle civiltà che ci hanno preceduto e finché non ci sentiremo pienamente responsabili e coinvolti, ognuno per ciò che gli compete le cose non cambieranno di una virgola, e non potremo che continuare a lamentarci di disastri come questo. Il rispetto e la cura delle testimonianze del passato iniziano da ognuno di noi.
Il nuraghe Alvu com’era prima del crollo (foto Montis)
foto in evidenza di Giovanni Sotgiu
*Archeologa
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design