Due settimane fa stavo per entrare in un bar di Bono, il centro del Goceano, quando ho dovuto interrompere la mia camminata sul marciapiede per aggirare un ingombro: una vecchia cabina telefonica. Su un lato, qualcuno aveva applicato una placca con la data di scadenza. Avrebbero rimosso la cabina nel giro di qualche settimana, secondo il piano nazionale avviato cinque anni fa per liberare le città di questo vecchio ed ormai inutile arredo urbano. Ero convinto che le avessero già asportate tutte, perché mi risultava che il ritiro dovesse avvenire entro il 2015. A Bono, invece, l’ultima cabina resiste. E a vederlo, quello sgraziato parallelepipedo posato sul lato piccolo, quella cassa di ferro e plexigas, ha fatto riemergere un mondo di ricordi e mi ha gettato nella nostalgia. I gettoni color rame con la scanalatura centrale, i tempi di una comunicazione che andava a ritmi cento volte più lenti di quelli di oggi, la mia adolescenza: in fondo, quando arrivarono i telefonini io avevo quasi vent’anni e il primo, mio mio, lo ebbi quando di anni ne avevo 27, perciò fino allora telefonare da fuori casa significava cercare la cabina. In paese, ce n’era una all’incrocio tra via Ruzittu e viale Costa Smeralda, un’altra all’incrocio tra via Paolo Dettori e via San Pietro, all’angolo della piccola bottega di signora Laura. Le trovavi sempre occupate all’ora di uscita dalle scuole, quando i ragazzi/e chiamavano fidanzati e genitori. Il compagno di liceo che da una cabina mi telefonava di pomeriggio per farsi dettare i compiti che non aveva voglia di fare, quella sequenza di Rain Man con Dustin Hoffman e Tom Cruise chiusi dentro la cabina, i film gialli con un serial killer che rivendicava sempre un suo delitto da un telefono pubblico. L’autorità che ha disposto la rimozione delle cabine è l’Agcom e ha le sue buone ragioni. In fondo, sono residuati di una tecnologia ormai superata, suppongo anche inquinanti. Però io credo che una cabina, in ogni città, dovrebbe essere salvata. È un cimelio, una testimonianza del tempo che fu, di quando non c’erano wifi e le chat e le parole, siccome costavano davvero, andavano amministrate. La prima, dice wikipedia, in Italia la installarono nel 1952 a Piazza San Babila, a Milano. Se preferite, vedetela così: gli smartphone consumano così rapidamente le batterie che un’alternativa d’emergenza sarebbe utile a tutti. In fondo, non costerebbe nulla lasciarne almeno una al suo posto, in ogni piccolo paese d’Italia. Se all’ultima cabina del paese hanno applicato la placca con la data di scadenza e vi interessa salvarla, potete inviare entro trenta giorni una mail all’indirizzo cabinatelefonica@cert.agcom.it e spiegare perché sarebbe utile lasciarla al suo posto. Magari l’addetto alla corrispondenza all’Agcom è un sentimentale come noi.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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