Ridendo e scherzando sono quasi duecento anni. Ci pensavo ieri al teatro Civico quando la cantante e autrice Ilaria Pilar Patassini (a proposito, che brava! Mi vergogno per non averla mai sentita prima che la Compagnia Teatro Sassari la invitasse per il Festival di Etnia e Teatralità) ha tessuto le lodi del teatro che la ospitava. Giuseppe Cominotti lo concluse alla fine degli anni Venti dell’Ottocento, quando fu arrestato e imprigionato nelle celle del Castello riservate ai detenuti di buon rango. Gli altri finivano a San Leonardo. Il giovane architetto venuto da Torino era accusato di averla combinata grossa per amore. Secondo la versione del governatore di Sassari e del Logudoro Tommaso Grondona era stato sorpreso in compagnia di un muratore dell’impresa che costruiva il Civico mentre tentavano di “fratturare” (così il rapporto di polizia) il muro della casa di don Antonio Ignazio Martinez Palacio che dava sulla stretta dell’Orologiaio, oggi vicolo Teatro Civico. Vi abitava una giovane pupilla del marchese Palacio e di sua moglie, ragazza bellissima che Cominotti, secondo Grondona, aveva fatto oggetto di “cieco amoreggiamento”. Cominotti fu liberato dopo qualche giorno ed esiliato da Sassari, dove tornò per breve tempo quando fu necessario concludere alcune pratiche relative al Civico. Annalisa Poli e Sandro Roggio, nel loro fondamentale “Gli architetti del Re in Sardegna”, questa storia la raccontano con scarsa convinzione per le motivazioni ufficiali e la legano all’idea di città che il modernissimo Cominotti diffondeva nella borghesia colta e produttiva di Sassari in uno dei due o tre momenti della sua millenaria storia in cui la città abbia tentato il sorpasso economico, culturale e demografico di Cagliari: stavolta provando a varcare le mura per espandersi, con il conseguente deprezzamento del formicaio di case malsane dove i poveri si stringevano pagando fitti che arricchivano i proprietari, quasi tutti rappresentanti della nobiltà e del clero. C’è quindi da pensare che i poteri cittadini abbiano fatto fuori Cominotti per difendere i loro interessi usando come alibi questa romantica avventura stile “Barbiere di Siviglia”: d’altro canto l’opera rossiniana con la figura della pupilla Rosina era stata rappresentata per la prima volta una decina di anni prima e circolava da allora ininterrottamente in tutti i teatri del mondo civile e dove non ce n’erano era proposta in concerti vocali nei salotti e nelle piazze.Rubando per un attimo un po’ di attenzione all’affascinante Pilar, ieri pensavo a tutto questo riflettendo su come poi, soprattutto dopo il colera del 1855, le mura siano state finalmente varcate ma anche come, da allora, la speculazione e gli interessi delle proprietà immobiliare si siano semplicemente spostati oltre le mura, senza approfittare del relativo diradamento di popolazione nella città murata per rendere abitabili le case e dignitose le vie, preservando l’esistenza del nucleo della città. Dalla metà dell’Ottocento ogni piano urbanistico generale o parziale è sempre stato distruttivo nelle intenzioni e ogni volta il centro storico è sopravvissuto pur senza alcun difensore forte, per motivi sempre diversi: alle volte si è salvato a causa di crisi economiche che facevano mancare finanziamenti ai progetti di demolizione e ricostruzione, in altre circostanze ci furono nuove e improvvise attrattive per altre forme di speculazione non soltanto immobiliare; ci furono persino circostante tragiche, quale l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale nel 1940, quando questo evento bloccò l’esecuzione del piano regolatore di Concezio Petrucci che praticamente intendeva radere al suolo una buna porzione di centro storico, e l’intervento si limitò al diradamento che adesso costituisce la piazza Mazzotti (Colonna Mariana).Questi casuali eventi e l’assenza di bombardamenti durante la guerra ci hanno conservato uno dei centri storici più belli e integri d’Italia. Già, noi non facciamo altro che parlare di degrado, delinquenza e roba così e dimentichiamo il nostro dovere di salvare un patrimonio che persino un nemico più insidioso dell’abbandono, della guerra e dei bombardamenti non è riuscito a distruggere del tutto: parlo della zona industriale di Predda Niedda che con una strisciante e travolgente trasformazione in zona commerciale ha svuotato la città murata di funzioni economiche e abitative. La mancanza di attenzione e la complicità della classe dirigente sassarese verso quest’ultimo fenomeno ha provocati guasti urbanistici che difficilmente potranno essere accomodati.Ma ora, nonostante tutto, si afferma da qualche anno una diffusa tendenza raccolta anche dai poteri pubblici a recuperare queste funzioni in una cornice di modernità. Ci sono iniziative con fondi europei lanciate dalle passate amministrazioni e raccolte da quella in carica, ci sono progetti nuovi in itinere, ci sono privati e soggetti pubblici che provano a cercare nella cultura, nell’arte e nell’artigianato gli strumenti di rinascita del centro cittadino. Chissà che sia la volta buona. Forse il centro storico ce la farà, questa volta, non soltanto a sopravvivere ma anche a vivere. E con questa lieta illusione alla fine ho applaudito la splendida Patassini. D’altro canto la storia vera l’hanno sempre fatta le illusioni.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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