Sarà giusto scrivere di emozioni suscitate da immagini o frammenti di vita banali, magari scontati e melensi? Ormai me lo chiedo sempre più spesso, ma sempre finisce che me ne fotto e scrivo lo stesso, magari a beneficio degli animi semplici come il mio. In una pagina di “Un indovino mi disse”, Tiziano Terzani confessa con un certo pudore di non riuscire più a trattenere la commozione davanti a banali scene di quieta vita quotidiana. Lo scrittore, in quel 1993, aveva 55 anni. Si commuove nel vedere la serenità di un villaggio vergine della Birmania, alla sera, con le famiglie che cenano all’aperto al lume di lampade a gasolio e le grandi, lunghe ombre sulle pareti. Terzani immagina che a breve l’occidentalizzazione dell’Asia fagociterà quest’oasi di autenticità e prevede che quelle famiglie, in un futuro prossimo, avrebbero trascorso quel momento della cena a rincoglionirsi davanti alla televisione, come in qualunque altra casa del mondo cosiddetto civile. Terzani pensa a tutto questo, si commuove, lo scrive, se ne vergogna un po’.
A me è capitato di commuovermi pochi giorni fa, per una scena che avrebbe dovuto farmi ridere. Ultimo giorno di giugno, Montmartre, davanti alla gradinata monumentale del Sacré Coeur. La Francia ha appena vinto la partita contro l’Argentina, giovani tifosi con le maglie blu intonano un canto partigiano adattato per l’occasione: “Oh Mascherano, Oh di Maria, Oh Messi ciao Messi ciao Messi ciao ciao ciao”. La gradinata è tutta occupata, decine di persone ci si sono sedute sopra e guardano davanti a loro. Penso che ammirino il panorama su Parigi, da lì vedi sino alla Senna. Invece no. Sulla strada, sotto gli scalini e la basilica, c’è uno strano tizio che ha calamitato l’attenzione della folla. È altissimo, indossa una salopette arancione da ciclista, calza un casco dello stesso colore con una scopa al posto della criniera. È un buffone, un saltimbanco, un artista di strada. Ma bravissimo, dotato di un’energia e un atletismo che fanno pensare ad un circense. Improvvisa sketch col pubblico, ferma le auto e inizia surreali scambi, fatti di sguardi e gesti, con gli automobilisti. Quando passa una motocicletta, lui solleva la gamba destra e il centauro ci passa sotto. Se passa un camioncino, lui salta sul cassone e poi, con un altro balzo, torna sulla strada. Stanno tutti al gioco, anche gli autisti dei bus che si fermano, persino i gendarmi che, armati fino ai denti, presidiano quel punto sensibile.
Io guardo la folla sulla gradinata del Sacré-Coeur. Ci sono i colori dei mondiali. Gente che indossa magliette della nazionale spagnola, brasiliana, portoghese. Ci sono anche tre giovanotti con la maglia dell’Argentina, reduci dalla delusione sportiva di pochi minuti prima. Si divertono anche loro. E mi commuovo nel vedere tutto questo mondo, di ogni colore e provenienza, ridere al linguaggio muto e universale della comicità, ridere fino alle lacrime, senza muri, barriere, pregiudizi, ostilità, tutti assieme a gioire della vita, responsabile un saltimbanco di strada che regala felicità per un pugno di monete, alla fine dello spettacolo. Non devo vergognarmi della mia commozione semplice. Dovrò vergognarmi se, un giorno, di commuovermi per queste piccole cose non sarò più capace.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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