Mio caro futuro Marcel Proust, il Salone del libro di Torino è quando sali alla fermata della metropolitana Lingotto e ti trovi in mezzo a migliaia e migliaia di persone che formano una gigantesca serpentina, sotto il sole, e non sai dove cazzo andare. È quando chiedi informazioni ad un tizio della sicurezza che fuma, ma arriva una con il tacco dodici che siccome è dell’Ufficio Stampa di qualche fottuta Agenzia ti interrompe, perché lei è una donna in carriera. Il Salone del Libro di Torino sono i ragazzi che ti controllano lo zaino come ai concerti, perché qui c’è gente che si porta anche la lacca per i capelli e il mais in scatola, e quelli che ti passano al metaldetector che anche se suona “ma sì non fa niente, tanto saranno o le chiavi o il cellulare”. Il Salone sono anche quelle che si dimenticano la mail con l’accredito ma che non si spostano per cercarla neppure se li prendi a calci, bloccando così tutta la gente alle casse. Il Salone di Torino è incontrare un vecchio professore di Filosofia Teoretica, anche se lui non sa manco chi sei, ti guarda come se fossi un rumeno che vuole dei soldi, e tu vorresti invece spiegargli quanto è stato fondamentale per tutto quello che hai scritto e studiato dopo, ma non puoi perché lui ha solo fretta di liquidarti. Il Salone del Libro di Torino è entrare e trovarti tra centinaia di bambini che urlano come scimmiette nella giungla abbandonata anche da Tarzan e giocano in queste gabbie. Intere mandrie di scolari costrette ad andare al Lingotto solo perché è di Torino, ma che sarebbe stato più opportuno sguinzagliare al parco per respirare aria pulita e non gli acari dell’orribile moquetta che hanno steso. Il Salone, una volta usciti da questa foresta pluviale, è prendere la cartina ed entrare nei padiglioni osservandoti in giro come un turista giapponese che vuole salire su un autobus a Roma: “e ora da che parte iniziamo?”. Il Salone del Libro di Torino è girare tra gli stand e sapere che ci sono tante piccolissime, piccole e medie case editrici che fanno dei libri meravigliosi perché per loro il libro è un oggetto da costruire con sapienza, esattamente come mastro Geppetto intagliò il suo pezzo di legno per far vivere Pinocchio. Sono tutti quegli artigiani traboccanti di passione con cui ho collaborato, e collaboro tutt’ora, e che conosco uno ad uno. Professionisti per i quali non sei solo un calcolo delle vendite, ma un essere umano in carne ed ossa. E che non hanno preso solo il mio dattiloscritto, ma che mi hanno adottato. Il Salone è vedere un sacco di ragazzi, dallo struggente romanticismo dandy, in fila per un autografo di un famoso disegnatore di graphic novel che parla di immigrati, violenza, guerra e diritti. È salutare quelli che stimi, professionisti di talento e umanità. Per dire, Giacomo Brunoro di Sugarpulp, o Simone Bedetti di Area51 Publishing. O incontrare per caso qualcuno che non ti aspettavi, come Patrizio Zurru di Stradescritte, e abbracciarlo. Ma anche tutti quelli che in qualche modo ti hanno ferito perché non ti rispondono mai alle mail o perché ti devono ancora pagare, ma a cui vuoi bene comunque giacché fanno parte di una tappa fondamentale della tua produzione. Sono i classici editori vampirizzati dalla distribuzione, che fanno i salti mortali per pagare gli stipendi dei loro collaboratori. Poi cerchi di tirare fuori il paraculo che c’è in te, e anche se sei impacciato, goffo e fuori luogo quanto una cernia nel ghiaccio, il Salone del Libro di Torino diventa la caccia ai tuoi libri per vedere se sei esposto e bene in vista. Per conseguenza, trovato lo stand, inizi a fare selfie in modo compulsivo per immortalare la tua presenza nel mondo della Kultura. Questo passaggio è fondamentale. Ricordatelo , mio caro Marcel Proust del terzo millennio. È necessario far sapere che ci sei anche tu, al Salone del Libro di Torino, trentunesima edizione. Altrimenti che cazzo ci sei andato a fare? Quindi posti, tagghi e hashtagherizzi l’impossibile in modo che la diffusione della tua faccia da divo liofilizzato sia il più efficace possibile ed equamente distribuita su tutti i social. Poi saluti tutti quelli a cui invece sei costretto a sorridere manco avessi una emiparesi, nonostante sai benissimo che non sono altro che squaletti in cerca di soldi e gloria e a te che conti quanto un cecio secco ti salutano giusto per carità. In genere sono privi di talento ma “forse magari non si sa mai, un giorno anche quello potrebbe tornarmi comodo”. Perché al Salone del Libro di Torino devi fare anche tu la tua parte, recitare il tuo ruolo di intrattenitore, pagliaccio e acrobata. In sostanza devi saper fingere! Il Salone è lì per dirti che non è più sufficiente aver intrapreso un fantastico viaggio che nutre lo spirito, che fa palpitare il cuore vivo e sanguinante nella tua mano. Quel “libro”, che ti ha scavato e reso curvo, se non conosci “qualcuno”, se non ci sai fare, se non sai venderti, puoi anche buttarlo nel cesso! Scrivere, oggi come oggi, è solo immettere prodotti sul mercato e, come ogni prodotto anche il libro ha le sue spietate leggi da rispettare. Uno scrittore non è altro che un brand da gestire con molta audacia da manager borsistici o broker dalla faccia da piranha. Il Salone del Libro di Torino, dunque, è quella narrazione mediatica al tempo del dio denaro che racconta che anche tu, futuro Marcel Proust, devi imparare in questo gigantesco circo a forma di centro commerciale (dove chiunque compra qualunque cosa uscendo così col trolley pieno di libri che mai leggerà), a fare l’uomo immagine, l’uomo vetrina, il ciarlatano che per ora si deve accontentare di una schifosa focaccina venduta a una cifra da ladri, nella confusione, come me che, come avrai capito, covo con grande sapienza la mia planetare frustrazione. E che, alla fine si è anche divertito così tanto che al Salone del Libro di Torino ci tornerà l’anno prossimo.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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