Ieri mi ha chiamato un amico, di quelli che lasci alle scuole medie e poi risenti, ogni due o tre anni, in occasione di un battesimo o di un funerale. “Sai chi è morta? “, mi ha detto. “Chi? “ “La signora Sanna “. “La signora Sanna? Ma non aveva seguito il marito a Cuneo? “ “Sì, ma il marito è morto da dieci anni, e così lei è tornata qui, dalla sorella “. “E Monica? “, ho buttato lì. “Eh, Monica… Monica si è sposata lì e non credo che tornerà più “.
Già, lo credo anch’io. Comunque, dieci anni. E’ da così tanto tempo che non rimetto piede nella mia via? Quella dove rischiavo la vita ogni giorno con il pallone nel tentativo quasi sempre riuscito di scansare le auto che ci passavano a fianco? Evidentemente sì. Poi però ho socchiuso gli occhi e ho ripensato al vero motivo che mi legava alla signora Sanna, le spese al mercato di san Benedetto. E ci sono tornato, con la memoria, a quel mercato, che anche lì, non so perché, non ho più voglia di metterci piede da quando sono andato via dal quartiere.
Varcato l’ingresso principale, ci si trovava subito davanti al reparto carni bianche, macabro spettacolo di polli impiccati e quaglie imbalsamate, mentre, oltre i sacchi di lumache, lungo le pareti, correvano i box delle carni rosse, o arrossate dal sangue degli agnellini, dei maialetti eviscerati, con i fegatini puliti in bella mostra, e i cuori nascosti tra i tagli freschi. A metà del mercato, sotto bandiere del Cagliari che pendevano minacciose dall’alto, pane, salumi, vini, formaggi e dolci sardi creavano come una tregua, fuori dai toni accesi di quel colorato mattatoio. Nelle corsie centrali, poi, era tutto un tripudio dei colori bianco-verdi delle verze e dei finocchi, rosso-viola dei peperoni e delle melanzane, bruni delle cipolle, gialli delle banane, scuri dei funghi prataioli e dei porcini, arancioni, d’inverno, dappertutto, come in un mare in piena, dei mandaranci e dei mandarini. Lo stretto labirinto era occupato interamente dai piccoli contadini che lottavano, e credo che lottino ancora, sino all’ultima goccia d’energia per imporre i loro prodotti. Il problema, infatti, era che questi coltivatori vendevano quasi tutti le stesse merci: asparagi, broccoli, cicorie, bietole, carciofi, favette… passare era quasi un’impresa, ed uscirne un trionfo, soprattutto con la convinzione di non essere stati truffati dall’abilità contrapposta di quegli astuti sensali. “Signora, questi sono sardi. “ “Signora, questi altri sono coltivati senza conservanti, tutto in modo naturale. “ Le signore, appunto, le regine del mercato. Come la signora Sanna. Anche se lei, propriamente, non era una regina del mercato. La signora Sanna era in realtà una patita della musica classica e del vino, una balena vorace che si saziava delle note musicali come della Monica in quantità industriale, come un’assatanata del sesso e dell’alcool, delle posizioni più estreme del Kamasutra e dei retrogusti tannici più profondi. Molti, nel giovane quartiere Fonsarda, dicevano che fosse proprio quello il motivo dei chiodi fissi della signora: la mancanza di sesso che il marito maresciallo convogliava convenientemente su prede migliori della consorte. E forse per questo la signora si cibava delle ouverture di Wagner o delle bottiglie di Monica di Sardegna, della Cantina Sociale Marmilla di Sanluri, dove era di stanza il marito, quasi fossero le ritmiche percussioni pelviche di un maschio selvaggio. Nonostante ciò, a mia madre stava bene trascorrere una sera alla settimana a casa della signora Sanna, perché lei era sempre stata una vera intenditrice di musica classica, e d’altronde nessuno, tanto meno lei, aveva la collezione di 33 giri della benestante moglie del maresciallo. In quanto al vino, aveva escogitato un trucco che le permetteva di non seguire la signora Sanna nelle sue ubriacature dionisiache al ritmo delle cavatine rossiniane. Si faceva riempire un calice e lo svuotava lentamente facendoselo rabboccare ogni volta lievemente, sempre più di rado man mano che la signora veniva abbattuta dai fumi dell’alcool. A lei importava soprattutto ascoltare della buona musica, tutto il resto era contorno. E neanche a me dispiaceva, per la verità, accompagnarla a quelle serate, vista la sicura presenza della graziosa giovane figlia della padrona di casa, che veniva puntualmente costretta dalla madre ad assistere in silenzio, quasi come in una macabra premonizione del suo futuro disagio di donna sposata. Appena la fonovaligia attaccava un’aria di Verdi, infatti, io mi incantavo meccanicamente a seguirne i riflessi sulle già promettenti forme di Monica (confesso che mi venne il dubbio che l’avesse chiamata così a causa del suo amore per quel vino), e dimenticavo le mie frustrazioni adolescenziali. Mi fissavo, per ore, a guardare le carni morbide muoversi al ritmo della musica, come un ebete pago dell’evidenza di una realtà fino a poco tempo prima sconosciuta, nemmeno immaginata. E attendevo la successiva serata. Ora, però, siccome alla signora Sanna non era parso vero d’aver conquistato un’amica così fedele (cosa mai successa prima nella sua triste vita), aveva praticamente costretto mia madre ad accompagnarla alla rituale quotidiana spesa al mercato di San Benedetto, e io con lei, e Monica con me. Il Mercato di San Benedetto era allora la cattedrale laica di un territorio costellato ancora da pigri cantieri e campagne fuori dal tempo, nel breve percorso di stretti sentieri e alberi spontanei, superata Villa Muscas, che in realtà era la scuola agraria, il mercato appariva come il totem di un quartiere ancora senz’anima. C’era in tutti un senso di reverenza nell’entrare ogni volta in quel monumento profano della modernità, che invece per me costituiva soltanto il primo assaggio di un sesso furtivo e reale nella mia acerba vita di adolescente brufoloso della periferia cagliaritana. Tra i banchi occupati dalle verdure, dalla frutta e dalle carni, appena le due donne si fermavano a contrattare con il macellaio di turno per ammorbidirne le pretese economiche, noi assaporavamo con sempre minor innocenza le gioie del contatto sessuale. Era un bacio furtivo, più spesso una palpatina ai glutei, ma quello era lo sviluppo massimo del nostro romanzo erotico, e tanto doveva bastare. Andò avanti così, per mesi, senza particolari passi avanti e questo sembrava darci sempre maggior sicurezza. Poi, improvvisamente, la signora Sanna sparì per seguire il marito maresciallo trasferito a Cuneo per un’inaspettata promozione, e chissà se anche nella piccola città delle Langhe trovò un’amica occasionale pronta ad assecondarne le opportune per lei maratone musicali. Fatto sta che sparì anche Monica, e così quella mi apparve addirittura come la fine di un‘epoca, come quando un sogno è interrotto da un rumore improvviso, banale, che ci lascia un ricordo sfumato, ingigantito dalla difficoltà di focalizzarlo come ci appariva in origine, anche se non ci si vuole più rinunciare… Fino a ieri. Quando, stroncata da un infarto, a novant’anni è morta la signora Sanna.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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