C’è una pagina, esattamente a metà dello svolgimento di Rosa Zicchina, che ricordo di aver letto come sospeso per aria, in uno stato fisico e mentale di levità, un senso di gioia così dolcemente arrogante da tener lontani, in quel momento, ogni altro pensiero e preoccupazione. Come quando un figlio impara a camminare e un padre si gode in silenzio lo spettacolo. Ogni figlio impara a camminare, ma ogni padre è fanciullo pascoliano davanti alla magia di una normalità che accade per la prima volta.
Rosa sta tornando in Sardegna, tanti anni dopo averla lasciata. Il suo vapore, nello stretto senso possessivo dell’aggettivo, sfiora le coste della Gallura e punta verso Porto Torres. E’ una giornata invernale, ma di sole radioso. Lei se lo gode, confusa in mezzo ai passeggeri di rientro nell’Isola. L’attesa del ritorno le riporta alla mente il vissuto della sua seconda esistenza: un rapido e complice scambio di battute con Giuseppe Verdi, i suoi viaggi per il mondo, da Parigi agli Stati Uniti, la nuotata sul Bosforo accanto ad un pescecane, la sua amicizia con Edmondo De Amicis, uno dei tanti artisti che frequenta: per il quale prova affetto, ma al quale la sua statura intellettuale le permette di guardare con una certa sufficienza.
Io non posso dirvi come la sassarese Rosa Zicchina sia arrivata ad essere e avere tutto questo, non posso rivelarvi perché la sua storia le abbia permesso di viaggiare per il mondo, in quella seconda e raggiante metà dell’Ottocento, immersa nella frenesia del progresso scientifico e industriale, con tutti i fervori della borghesia colta e visionaria di cui lei, Rosa, è fulgida espressione. Se io vi raccontassi il percorso di Rosa, se mi infilassi nel labirinto della sua storia, vi guasterei il piacere di una lettura unica e la gioia di raggiungere le pagine che ho umilmente cercato di riassumervi. Se dicessi troppo, forse non assaporereste completamente il trionfo della protagonista e il vostro, da lettori, esserne parte.
Rosa Zicchina e i suoi colera (Edes, 19 euro) è il primo romanzo di Cosimo Filigheddu. Senza lasciarmi minimamente influenzare dall’amicizia che mi lega all’autore, mentre leggevo per la seconda volta Rosa continuavo a chiedermi: perché, Uccio, hai aspettato tanto per darci prova del tuo straordinario talento di scrittore che già conoscevamo, ma non avevamo ancora visto misurarsi in un’opera così compiuta e completa? Rosa Zicchina ci accompagna a meno tenta nel suo sogno. Perché viene dai fondi melmosi del mondo, ha subito le peggiori violenze e ne ha commesse a sua volta, è scampata all’epidemia di colera del 1855 ma ha visto Garibaldi acclamato nella sua città e alla fine si è pienamente realizzata, raggiungendo la purezza nell’età matura. Ma, da sardo, è esaltante fantasticare sulle vicende terrene di una sassarese che poteva dare del tu alle migliori intelligenze del suo tempo, con cui si confrontava alla pari pur arrivando da un tugurio frequentato dalla peggiore feccia umana.
Ma forse non è fantasticare. La ricostruzione storica è così precisa (Uccio non vuole che si dica, ma io vi dico che Uccio ha studiato da duecento testi per poter contestualizzare il romanzo) da far ritenere che anche la figura sociale di Rosa, nata a Sassari e crescita altrove, sia pienamente plausibile e verosimile. Rosa è avanti di vent’anni. Rosa precorre il Futurismo e prima dello sbarco ammira la sua nave, così sentenziando: “Ma quali cattedrali, ma quale Partenone, ma quali palazzi? I maestri di vero talento sono unicamente gli ingegneri che progettano le navi e i treni, quelli che fanno del mondo intero una sola Patria”. Marinetti, nel suo Manifesto, avrebbe preferito le automobili alla Vittoria di Samotracia. Ma nel 1909, un quarto di secolo dopo.
Io Rosa me l’immagino ottantenne, misurarsi con i fascismi e non so con quale disposizione d’animo. Ma non m’interessa tanto sapere cos’avrebbe pensato Rosa delle camicie nere – la suppongo schifata da tanta grettezza e illiberalità – quanto come si sarebbe comportata, come avrebbe orientato le sue scelte e reagito al nuovo corso. Per Rosa avrei votato, se si fosse candidata alle elezioni, più convintamente di quanto avrei fatto per la Grazia Deledda che con atto rivoluzionario cercò senza trovarla, nel 1909, la strada del Parlamento. Cosmopolita, piena di interessi, spregiudicata quanto basta, Rosa sarebbe stata un politico molto più incisivo di quelli del nostro tempo.
Io ho bisogno di leggere ancora Rosa all’opera, di avere ispirazione dalla sua conoscenza. Per chi non lo avesse capito, è un appello all’autore. Rosa Zicchina merita altre vite e ce le meritiamo noi lettori. E l’autore non risponda ripetendo l’ultima parola del suo libro.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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