Fa un certo effetto girare per Roma alle sette di sera. In questa Roma dove le luci dovrebbero regalare sicurezza ed invece creano piccole angosce. A Piazza Venezia ci sono i soldati, così come in Via Nazionale e via dei Giubbonari. Piazza Farnese, dove c’è l’ambasciata francese – in uno dei palazzi più belli della capitale – la gente passa con malcelata calma. A stazione Termini, proprio appena fuori Piazza dei Cinquecento, vicino allo stazionamento di molti autobus, è parcheggiato un “lince”, quel mezzo blindato leggero usato dalle nostre forze armate per le missioni all’estero. Le persone scivolano via apparentemente tranquille tra via Frattina e Piazza di Spagna dove, comunque, i soliti turisti stazionano sulla scalinata di Trinità dei Monti. Tutto normale dunque? Apparentemente. C’è uno strano ronzio che cammina nel centro storico di una città impaurita, rattrappita, una scossa elettrica che rianima la paura che queste strade, questi monumenti, tutta questa smisurata bellezza sia considerato un obiettivo sensibile. Gli sguardi regalano questa sensazione e anche quelli che si gettano sulle vetrine sono più fugaci del solito. E’ ancora presto per i regali, certo, ma la gente non si sofferma. Sembra sia uscita per strada perché ha altro cui pensare o, forse, per scacciare la paura. I soldati sono rassicuranti e terribili. Una signora sussurra che le divise da guerra le creano ansia. Da guerra. Perché di questo si tratta. Abbiamo sempre fatto finta di non capire noi, generazione stracolma di pace, ma solo a parole. Adesso che i soldati, che i loro mezzi ce li troviamo in mezzo ai piedi e non nel televisore al plasma di 32 pollici, adesso abbiamo l’ansia. Perché respiriamo quest’aria elettrica intrisa di attesa e di guerra ad un nemico che si è dichiarato ma non ci ha detto quando e dove attaccherà. Ci sono i preparativi per il Giubileo. Sugli autobus salgono i poliziotti e i carabinieri a pattugliare alcune linee: il 64 è sotto osservazione. E’ quello che da stazione Termini ti porta al Vaticano, l’obiettivo più sensibile. La gente guarda curiosa i poliziotti sugli autobus. Qualcuno sorride e approva: almeno ci saranno meno furti. Dell’Isis, chiaramente, nessuno parla. Mette ansia. Via dei fori imperiali ,con il selciato lucido bagnato da una pioggerellina sottile e insistente, regala, come sempre la magnificenza di una città che ha visto di tutto: la Roma dei Re e dei complotti, dei barbari e dei papi, dei sindaci e della mafia. Ci mancavano quelli dell’Isis, dice la signora con in mano le buste della spesa, a ridosso del quartiere Monti, altro salotto buono della capitale. Certo, questa città confusa e ferita, aperta e attorcigliata non aveva bisogno di questa nuova angoscia. Così, quando l’ennesimo allarme bomba blocca la galleria del Tritone, Roma osserva quasi inerme. Aumenterà il traffico, mica questi islamici arrivano a Roma. Bastano e avanzano quelli che negli anni se l’hanno divorata con pazienza chirurgica. Mica bisogna mettere le bombe per papparsi la città.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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