Sarà capitato anche a voi di essere assaliti, per strada, dal rivoluzionario con la bava alla bocca, quello che “bisogna ribellarsi tutti quanti sennò non se ne esce” e non vi molla finché non vi ha strappato l’adesione all’assalto ad un qualche Palazzo d’Inverno, perché da qualche parte questa rivoluzione bisognerà pure cominciarla.
Lui non sa esattamente contro chi si voglia ribellare, a lui interessa principalmente convincere voi che bisogna ribellarsi. A me è successo l’altro giorno. Mi ha strattonato per la giacca un piccolo commerciante. “Noi ci spacchiamo la schiena dall’alba al tramonto e loro rubano senza ritegno, noi lavoriamo per mantenere questi bastardi nullafacenti e non ci resta di che sfamare i nostri figli” eccetera eccetera eccetera.
Più o meno gli slogan li conoscete.
Io l’ho assecondato confermando che “è uno schifo che coi soldi pubblici ci si comprino i porcelli per gli spuntini elettorali, facciano il pieno alle loro macchine e riparino le ammaccature di quelle delle mogli, ci si paghino i vibratori e via dicendo”.
Lui pareva contento come un Testimone di Geova che, la domenica mattina, riesca a piazzare al primo inquilino citofonato un abbonamento annuale a “Svegliatevi!”.
Però io sono cattivo e ho cercato di portarlo su una strada parallela alla via dell’indignazione che solitamente percorre.
“Però, vedi, se confronti quanto costano stipendi e ruberie dei politici e quel che invece costa l’evasione fiscale in Italia, ogni anno, ti rendi conto che forse il problema siamo anche noi che non facciamo scontrini e nemmeno li chiediamo. Lo sai che in certi settori i ricavi in nero superano il 50 per cento del fatturato totale?”.
Ha fatto un passo indietro per prendere letteralmente le distanze da me, sulla faccia l’espressione gli è diventata torva. Per lui stavo dicendo cazzate, l’evasione non è un problema, chi evade è costretto e bla bla bla. E così borbottando se n’è andato, Esattamente quel che cercavo di ottenere.
Di rivoluzionari così ne ho visti spuntare tanti, ultimamente. Rivoluzionari con partita Iva che il blocchetto delle fatture non lo hanno mai posseduto e l’ultimo scontrino da loro rilasciato, risalente al 1984, lo hanno esposto nel salone di casa, custodito dentro una teca, accanto all’anfora romana acquistata al mercato nero. Conosco gente che paga ogni tassa sino all’ultimo centesimo, conosco gente che evade le tasse quel minimo indispensabile per non affogare, conosco gente che le tasse non le paga per principio.
In quest’ultima sottocategoria si annidano molti rivoluzionari dei nostri tempi. Assolvono loro stessi da ogni peccato e si lavano la coscienza asserendo che la colpa è tutta dei politici ladri e la rivoluzione va impugnata contro di loro, occupando le piazze e rovesciando le auto blu. E se evadono il Fisco, spiegano, è ovviamente per colpa dei politici ladri “che si stanno mangiando tutto”.
Ecco, io ai politici ladri non perdono questa forma di antipolitica. Perché se i politici avessero senso della misura, questi truffatori non troverebbero la maniera di camuffarsi da rivoluzionari. Magari riuscendo pure a convincere qualcuno, sulla loro strada dell’indignazione a senso unico.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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