Quando la commemorazione dei martiri genera altro odio, io fatico a comprenderne il senso: dovrebbe mantenere vivo il ricordo di chi si è sacrificato per una causa giusta, ma anche essere una condanna della violenza. Invece, spesso, contiene toni lividi e serve solo ad alzare altri altissimi muri.
Il 4 settembre sono stati 111 anni dall’eccidio di Buggerru, quando tre minatori vennero abbattuti dall’esercito regio durante una manifestazione sindacale contro le difficili condizioni di lavoro. Alcuni indipendentisti sardi hanno usato quel brutale atto di repressione in chiave anti italianista, come la dimostrazione lampante di uno Stato sempre pronto a prendere a calci in faccia la Sardegna. L’esercito avrebbe sparato sulla folla per ritorsione contro quei manifestanti sardi, non in quanto manifestanti ma in quanto sardi. Sono seguiti i ben noti incitamenti all’odio contro tutto quel che è italiano o rappresenterebbe l’Italia nell’Isola.
La storia, però, ci racconta che di stragi di Stato ne sono avvenute tante altre, nelle più svariate zone della Penisola. Dieci giorni dopo i fatti di Buggerru, in quello stesso 1904, di operai ne vennero falciati sei a Castelluzzo, in provincia di Trapani. Nel maggio del 1899, cinque anni prima, il III Corpo d’Armata comandato dal generale Bava Beccaris sparò a più riprese sulla folla che, a Milano, chiedeva riforme e prezzi più accessibili per i generi di prima necessità. Non si conobbe mai il numero dei morti, ma secondo fonti giornalistiche qualificate furono 118. Erano moti che divampavano spontaneamente in tutta Italia e ai quali lo Stato reagiva, per ripristinare l’ordine, con inaudita ferocia. Saltando nell’era repubblicana, come non ricordare il massacro compiuto dai carabinieri alle Fonderie Riunite di Modena, il 9 gennaio del 1950, costato alle vita a sei operai riuniti in assemblea. E potrei ricordare tutte le altre stragi avvenute in periodi più recenti, ai tempi della strategia della tensione: rimaste senza responsabili certi, ma certamente compiute grazie alle coperture e agli aiuti di certi settori dello Stato.
A Buggerru, a Milano, a Castelluzzo e a Modena lo Stato repressore voleva silenziare il dissenso e neutralizzare le lotte per condizioni di lavoro più umane. Essere sardi, lombardi, siculi o emiliani poco importava.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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