Su un quotidiano online leggo la notizia del rinvio a giudizio di un noto imprenditore gallurese che, da qualche anno, sembra essere caduto in bassa fortuna.
E’ una notizia secca, perfettamente coerente con i principi di essenzialità dell’informazione, priva di commenti o allusioni, scritta con asettica imparzialità.
Vado a leggere i commenti al post.
C’è chi conferma la propria stima per l’imprenditore e, del resto, non si vede perché si dovrebbe cambiare idea sul conto di una persona rinviata a giudizio per un reato fiscale tutto da dimostrare. Ma su questo ci torneremo dopo.
Invece la maggioranza delle reazioni non ha questo tono umano e pacato. Buona parte di coloro che si sentono in dovere di commentare insulta il giornalista che ha scritto la notizia, ritenendo diffamatorio il solo fatto di aver dato conto della vicenda giudiziaria.Tra questi ci sono persone che conosco e sulla cui razionalità avrei scommesso: scrivono che non seguiranno più quel sito, così il direttore impara a far pubblicare notizie notizie non gradite.
L’imprenditore è stato uomo d’affari molto potente e stimato, ha sempre goduto di ottima stampa e di solide relazioni politiche, ha dato lavoro a centinaia di persone, Ma questo non significa che si possano censurare le cronache per proteggerlo, quando appare il suo nome..La libertà di stampa è un valore che tutti noi diciamo di avere caro. Tanto è vero che nei dibattiti social il ricorso al termine “pennivendolo” è sempre più frequente: nella narrazione del complotto globale, secondo cui ogni aspetto della nostra vita (politica, sport, sanità) è condizionato dai poteri forti, il giornalista sarebbe strumento essenziale dei grandi manovratori, scrivendo o omettendo a piacimento dei padroni, così da giustificare i mediocri piazzamenti dell’Italia nelle classifiche sulla libertà d’informazione.
In realtà, i primi a non volere la libertà di stampa sono proprio coloro che gridano al “pennivendolo”. I giornali vanno usati come clave contro nemici o sconosciuti, ma se si tocca un potente da cui sono avuti benefici, i giornali devono tacere. E se qualcuno parla, viene insultato per averlo fatto e non aver rispettato la censura.Andiamo a quel “torneremo dopo” di poche righe fa. Anni di giornalismo manettaro, giustizialista, con la bava alla bocca, hanno trasformato ogni avviso di garanzia in una esecuzione sommaria. E’ una forma di fascismo, un abbandono della democrazia spesso sposato da chi si vanta di essere prima di tutto democratico.
Ecco perché un rinvio a giudizio provoca tutto questo macello. Basterebbe tornare al garantismo costituzionale per agitarsi meno.
Il garantismo, uno dei valori più alti di una Democrazia.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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