Le mie ombre rosse sono nostalgiche, oggi. Succede che mi mettono malinconia mentre guardo su qualche testata online il video di Alessandro Di Battista che fa il comizietto agli ambulanti radunati davanti a Montecitorio per protestare contro la direttiva europea Bolkestein. E’ una di quelle situazioni da brivido, nelle quali un politico che davvero si ritenga parte di una classe dirigente deve mediare tra l’incazzatura irrefrenabile di lavoratori che si vedono marciare verso il baratro di una rovina ingiusta voluta da questa misteriosa Europa, e gli effetti anche legislativi di un mercato in tumultuoso e incontrollato cambiamento. Insomma, non è mestiere per chi pensi solo al consenso e faccia politica come se ogni giorno l’indomani ci fossero le elezioni. Ma da quanto sento, Di Battista non parla tanto di Europa matrigna: più che altro attacca i giornalisti che gli rompono le balle e gli ambulanti lo circondano entusiasti gridando che ad ammazzarli, i giornalisti servi e bastardi, ci penseranno loro. Ecco, le mie ombre rosse mi fanno pensare alla mia adolescenza, ai tempi in cui facevo politica militante nella sinistra. Ed era politica dura, più di adesso. C’erano molti di noi che credevano possibile addirittura la rivoluzione; ce n’erano ancora di più, nella sinistra, convinti (non a torto, come penso adesso) che una intensa e combattiva stagione di riforme radicali avrebbe portato a un rafforzamento della classe operaia e della borghesia progressista, e quindi a un generale progresso e benessere del Paese. Per queste cose si scendeva in piazza, qualche volta si veniva picchiati dalle forze dell’ordine, ci si azzuffava con i fascisti che, eroici negli anni Sessanta come lo erano stati negli anni Venti, spesso ti aspettavano la notte sotto casa quando eri solo. Insomma, non era la politica fatta su Facebook, dove puoi dire qualsiasi coglionata, anche che bisognerebbe fare annegare tutti i migranti, e non corri neppure il rischio di un leggero calcio in culo. Vi sembrerà strano, ma c’era un senso di responsabilità diffuso, persino tra i ragazzini come me. A esempio ti insegnavano a non stuzzicare stupidamente le categorie più svantaggiate o tradizionalmente propense a furibonde reazioni e a incanalare la loro rabbia verso rivendicazioni reali e forme di lotta efficaci e non rovinose. Anche allora c’erano gli ambulanti tra le categorie “difficili”. Ma ricordo anche i cottimisti di certe imprese appaltatrici di lavori stradali, quelli che contavano i soldi della paga seduti sul paracarro, tra i fumi del sudore e dell’asfalto che avevano appena spalmato, pensando a un lavoro che il giorno dopo non era detto che venisse confermato. E c’erano i sottoproletari dei quartieri ghetto, carichi di odio verso tutto e tutti. Per non parlare degli sfrattati che occupavano le case popolari, che si portavano appresso il rischio di un tetto che poteva essergli tolto e di una famiglia che gliene chiedeva conto. Insomma, tutta gente alla quale avresti potuto urlare armiamoci e partite. Nel senso che li avresti facilmente mandati allo sbaraglio e al momento di rovesciare le auto in piazza e dargli fuoco, tu te ne saresti stato al calduccio della tua famigliola borghese protetto da babbo e mamma. Ma ci hanno insegnato sin da ragazzini, sia che militassimo nella sinistra extraparlamentare sia nel Pci o nella Fgci, che la politica non è sfruttare i dolori del popolo ma scoprire insieme al popolo come porvi rimedio. E quindi, insomma, c’è stata questa botta di malinconia esacerbata dal fatto che lo stesso Di Battista, in non so quale talk, commentando la questione degli ambulanti che vogliono ammazzare i giornalisti, ha detto che bisogna ringraziare gente come lui se tutta questa incazzatura viene tenuta sotto controllo. E cosa volete che vi dica? Grazie, Di Battista.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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