Non fidatevi del parere di vostra moglie e dei vostri figli. Vi amano, non vi diranno mai la verità.
Non chiedete pareri ad altri romanzieri, a meno che non siano umanamente merce rara. Di solito un romanziere, anche se voi non siete nessuno e lui pubblica con HarperCollins o Hachette e vende milioni di copie, invidia e teme qualsiasi altro romanziere, anche quello che sotto pseudonimo, perché si vergogna, pubblica quei libri che si vendono solo nelle edicole delle stazioni dai titoli tipo “Il barbiere di Lecco” (con “Lecco” scritto in corsivo per evidenziare lo spiritoso doppio senso) oppure “Sposa bagnata sposo fortunato”. Io ho avuto a che fare con due eccezioni di romanzieri bravissimi che con me sono stati affettuosi e prodighi, ma uno di mestiere fa anche il magistrato e l’altro fa anche il professore, entrambe professioni molto serie, che richiedono serietà e che probabilmente hanno influito sulla loro indole di scrittore. Io, a esempio, che non ho altre professioni essendo pensionato, invidio qualsiasi altro romanziere e lo considero un potenziale ostacolo alla mia notorietà.
Se è un romanzo storico, non chiedete agli storici di professione. Del romanzo se ne fottono, ché, soprattutto quelli più seri, guardano alla storia. Gli storici di professione, inoltre, di solito leggono meno romanzi che altro e quei romanzi che leggono sono il meglio della letteratura di ogni tempo e luogo. Quindi giudicheranno il vostro romanzo avendo nell’inconscio (perché se lo hanno nel conscio e fanno confronti consapevoli sono proprio stronzi) “I promessi Sposi”, “Ivanhoe”, “I tre moschettieri”, “Guerra e pace”, “Il Gattopardo” e “Le memorie di Adriano”. Alcuni anche due o tre poemetti dalla “Chanson de gestes” rimasti impressi dai tempi dell’esame di Filologia romanza. Nel confronto non farete bella figura.
Sempre riguardo agli storici professionisti potete comunque consolarvi con la constatazione che un grande storico di fama internazionale si è di recente avventurato nel romanzo storico e ha scritto una cagata peggiore delle vostre. Tuttavia non ditelo pubblicamente perché, a causa della sua fama come storico ha trovato un importante editore. Quindi, se lo criticate sembrerete invidiosi.
Non rompete i coglioni all’editore o ai librai chiedendo se “il libro sta andando”. Se sta andando, ve lo diranno quando sarà il momento che lo sappiate, se non sta andando è inutile che lo sappiate perché tanto lo avete già scritto e non c’è più niente da fare.
Non pensiate che nel prodotto finale il vostro lavoro di scrittura sia stato il più importante. Rivolgetevi a un bravo agente o a un’agenzia letteraria e vedrete la differenza. Se poi avete il culo che ho avuto io con un’agenzia che contemporaneamente fa anche editing, è il massimo. E questo porta alla voce successiva.
L’editing. Non pensiate neppure che il vostro originale sia una enciclica papale o l’articolo di una Costituzione da sottoporre all’Assemblea costituente, entrambi scritti dove anche ogni virgola va difesa perché a lungo meditata (anche se le virgole, come in generale la punteggiatura, andrebbero a lungo meditate in ogni scritto, ma questa è un’altra faccenda). L’editor migliora il vostro originale. Quando vi telefona dicendo “prova a tagliare l’ultima riga del tale capitolo e ti accorgerai che la vera sfolgorante conclusione è la riga precedente”, oppure “Quella riflessione è bella, originale, appassionante. Ma chi la fa? Il personaggio che in quel momento agisce oppure tu che scrivi? Perché bada che al lettore che tu interrompa la storia magari in un momento cruciale per dirgli quello che pensi, non gliene fotte niente”; ecco, quando vi telefona dicendovi roba così sta dando al vostro libro un valore che prima non aveva. Se non lo ascoltate siete scemi. Anzi, non siete uno scrittore. Ma di solito gli editor non lavorano con i non scrittori, quindi il problema non si pone.
I libri si vendono molto nelle presentazioni. Quindi state addosso a chi le organizza perché vi metta in mezzo. Ma state attenti a due cose. La prima è che la presentazione, dal vostro punto di vista, di quello del libraio e di quello dell’editore, è un fatto soprattutto commerciale, quindi non dovete vergognarvi di pregare gli astanti di comprare il vostro libro, promettendo a quelli che poi se lo vogliono rivendere a seconda mano che non lo firmerete sotto dediche sdolcinate, togliendogli così valore nel mercato dell’usato. L’altra è che per il pubblico la presentazione non è un fatto commerciale ma un evento culturale, quindi se si finisce per parlare di cultura che esula dal vostro libro non mettetevi a rompere le balle facendo il muso lungo, continuate a sorridere e poi invitate a comprare il prodotto. Così come se vi capita il presentatore che palesemente non ha letto il libro, attenti che la brutta figura non la fa solo lui ma soprattutto voi. Siate quindi audaci e generosi in pubblico nel nascondere la sua marginale carenza, potrete poi mandarlo affanculo in privato.
Siate umili e lecchini con chi può garantire al vostro libro una citazione sui giornali. Dice che ormai i social contano di più. Balle! Chi vuole leggere gratis non legge. Quelli che comprano i libri continuano a fidarsi di un giornale che gliene propone uno insieme ad altre notizie dopo essersi fatto pagare un euro e mezzo in edicola. Se un errore fanno i giornali, è quello di pubblicare sempre meno recensioni. Ciò che porta alla seguente e penultima voce.
Il recensore. Non stupitevi se un recensore con il quale prima che voi scriveste romanzi avevate ottimi rapporti, ora vi evita quanto una merdina di cane sul marciapiedi. Dall’esatto momento in cui avete scritto un libro, avete cessato di essere un amico, un conoscente, un personaggio innocuo con il quale ogni tanto scambiare quattro chiacchiere magari interessanti, per divenire la peggiore delle figure nella quale in un panorama urbano ci si possa imbattere: il rompicoglioni. Per lui ora siete uno che in qualsiasi momento può chiamarlo al telefono per chiedergli se ha letto il libro e che cosa ne pensa, se ritiene di poterne scrivere, come mai non ne ha ancora scritto, che tenete al suo parere in maniera particolare, che se non gli è piaciuto ve lo dica perché non vi offendete. Insomma, uno da finire con una pistolettata ben mirata alla testa: più che per non farlo soffrire, per farlo tacere il prima possibile senza fastidiose agonie.
Ma soprattutto, in ogni momento della vostra vita di scrittore, tenete in cima ai vostri neuroni quella vignetta di Sempé che rappresenta una immensa libreria, con una fuga di locali dalle volte altissime e le pareti coperte di libri, con banchi e tavoli sommersi da libri, con i libri che esondano dalle porte di ingresso finendo sulla strada, e dove un tale dice a un altro: “La invidio molto. Anch’io avrei voluto fare un libro, come lei. Avere l’impressione di uscire dalla massa”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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