I ragazzi popolano il cortile. Un tripudio di panini, di viavai in bagno per i bisogni fisiologici, di chiacchiere e nuvole di fumo che si sollevano da capannelli di studenti. Ma è l’investimento emotivo il vero cardine attorno al quale ruota la priorità della pausa. Amoretti e amicizie che, finalmente, soffiano intensi in quella momentanea sospensione dalle attività didattiche. Quando ancora gli alunni accarezzano il momento di ritagliarsi spazi diversi di autonomia sociale al di fuori dalla scuola e che collaudano, nel corso della mattinata, nell’attesa di ricostruirsela altrove. Una mamma varca il cancello diretta forse in segreteria e, facendosi largo tra i ragazzi, attraversa il cortile. Ha il passo spedito e lo sguardo svagato, di chi adocchia senza vedere. Improvvisamente quella vista vacua si fa vigile e interessata. Ha messo a fuoco qualcosa che sarebbe stato meglio le sfuggisse: il figlio, seduto insieme ad alcuni compagni su una panchina, si sta preparando un trinciato. Lei rallenta il passo e cambia improvvisamente direzione: la segreteria non è più la sua meta. Gli arriva alle spalle e gli dà un sonoro ceffone. Volano le cartine, vola la bustina del tabacco, il vociare brulicante scema progressivamente e cala il silenzio.
Dopo la ricreazione, la novità ben presto si diffonde il tutto l’istituto, in ogni classe gli studenti ne parlano come fosse una notizia straordinaria e per le successive tre ore pare non esistano altri argomenti di conversazione.
“Quella mamma ha fatto bene!”, hanno detto i miei alunni quando ne abbiamo parlato.
E io trovo sconcertante che dei ragazzini, che abitano festosamente l’età da potenziali bersagli di schiaffi, riconoscano nella sberla un valore pedagogico. Accettano la violenza che ha l’alibi dell’educazione
“Ne abbiamo prese tutti e non è morto nessuno!” affermeranno i nostalgici delle punizioni corporali. Certo, è vero. Ma io quel ragazzino l’ho rincontrato l’indomani mattina. Era fermo sul marciapiede, prima dell’ingresso a scuola e stava fumando una sigaretta. Forse uno schiaffo non ammazza nessuno, ma nemmeno risolve il problema.
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La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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