Per qualche settimana ho insegnato, da supplente, in una scuola professionale della Gallura. Una scuola dove si iscrivono i ragazzi che vogliono imparare un mestiere ed entrare da subito nel mondo del lavoro. Io ho insegnato italiano e storia e non nascondo che certe volte mi sono sentito fuori posto, uno che faceva accademia a ragazzi con altre e più pragmatiche aspettative. L’esperienza è stata comunque molto formativa e tante cose mi sono rimaste impresse. Una di queste cose, anche se non è una cosa, è Riccardo. Riccardo viene da un centro del cagliaritano, frequenta la prima, ha tredici anni – ha iniziato le elementari a cinque anni – e legge Calvino, Dan Brown e saggi di storia. Poco più che bambino, ha una cultura che buona parte degli adulti che conosco non possiedono. Alloggia in convitto e, nel fine settimana, attraversa la Sardegna due volte per trascorrere poche ore con la famiglia: il venerdì pomeriggio torna a casa saltando dall’autobus al treno, la domenica mattina è nuovamente in viaggio per essere a scuola entro domenica sera e puntuale a lezione la mattina dopo. Riccardo, a quel che mi dicono, viene da famiglia benestante e ha genitori e nonni laureati, che appena possibile lo hanno indirizzato alla lettura. Nel mio ultimo giorno di lezione, non ho resistito alla tentazione di chiedergli perché un ragazzo con le sue incalcolabili potenzialità avesse scelto una scuola professionale, così lontana dai suoi affetti e forse dalla sua vocazione. “Io ho sempre avuto il sogno di diventare un grande cuoco”, mi ha risposto senza scomporsi. Mi ci sono soffermato a riflettere, su questa risposta netta e per certi versi spiazzante.
Siamo stati abituati a pensare che chi si distingueva per profitto nelle scuole dell’obbligo dovesse naturalmente finire, alle superiori, in un liceo, luogo di formazione per una classe dirigente da mettere dietro una scrivania e cui era vietato sporcarsi le mani. Sporcarsi le mani col lavoro fisico sembrava un disonore, una bocciatura, per chi ben altro ruolo doveva essere destinato ad occupare nella società. Invece per sapere bisogna fare, plasmare la materia con le dita, creare usando il proprio corpo e non solo la mente. Dove sta scritto che chi ha attitudine alle attività intellettuali non si senta altrettanto affascinato da quelle manuali e non sogni di imparare un mestiere, prima ancora di pensare alla facoltà universitaria da scegliere? Umile come solo le intelligenze superiori sanno essere, il piccolo Riccardo mi ha insegnato molto più di quanto io possa aver insegnato a lui. Sono fiero di averlo conosciuto.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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