La legge di revisione costituzionale che andremo a votare in autunno prevede innanzitutto il superamento del bicameralismo perfetto. Il Senato della Repubblica non verrà soppresso, ma trasformato in un organo rappresentativo delle istituzioni territoriali. Sarà composto da 100 parlamentari, 95 dei quali scelti dai votanti alle elezioni regionali. Avrà potestà legislativa piena sulle riforme e sulle leggi costituzionali ed eserciterà forme di controllo sui provvedimenti della Camera dei Deputati. Ma non potrà più votare la fiducia al Governo. La riforma prevede una nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, più chiara dell’attuale, che servirà a ridurre i conflitti istituzionali e gli interventi della Corte Costituzionale. Alla Sardegna, e alle altre regioni a statuto speciale, sono ‘nuovamente’ riconosciute “forme e condizioni particolari di autonomia”, che dovranno essere definite attraverso la modifica degli statuti. L’abrogazione dei passaggi costituzionali nei quali si fa riferimento alle province è stata disposta dalla Corte quale presupposto per poter procedere alla revisione del sistema delle autonomie locali. In Sardegna la soppressione delle province nazionali è stata sollecitata anche dal voto referendario del 2012. Per la cronaca, la Gallura è tornata da qualche giorno sotto la provincia di Sassari. Sono previsti anche: l’abbassamento del quorum referendario alla metà del numero dei votanti alle ultime elezioni politiche; l’istituzione del referendum propositivo e di quello d’indirizzo; l’introduzione di tempi certi per l’approvazione dei provvedimenti parlamentari d’iniziativa governativa e di quelli d’iniziativa popolare. Inoltre, viene posto un freno all’abuso dei decreti-legge (quelli adottati dal Governo in sostituzione del Parlamento per motivi di ‘necessità’ e ‘urgenza’) che, insieme all’abuso dei voti di fiducia e dei maxi-emendamenti, sono schiaffi, ripetuti e ben assestati, al nostro sistema democratico. Altre norme riguardano l’elezione del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale. Altre il contenimento dei costi delle istituzioni e la soppressione del CNEL. I poteri del Governo non sono stati modificati.
Sebbene non interessi direttamente i principi democratici fondamentali contenuti nella prima parte della nostra Costituzione, l’importanza della riforma è evidente: incide sugli assetti istituzionali dei più alti organi dello Stato ed incide sugli istituti della democrazia diretta. Sorvolando sull’opportunità o meno di procedere ad una modifica costituzionale con i voti di un parlamento eletto con una legge dichiarata illegittima, è innegabile che alcuni aspetti della riforma, combinati con alcuni aspetti dell’Italicum, determineranno uno sbilanciamento degli equilibri a vantaggio del Governo e a svantaggio del Parlamento. Zagrebelsky sostiene che “la riforma è il carapace del potere”, la blindatura di un’oligarchia che rappresenta interessi di gruppi economico-finanziari e militari. Per Rodotà “siamo di fronte al passaggio da una democrazia rappresentativa ad una democrazia d’investitura”. Cinquantasei studiosi di diritto costituzionale, nella premessa del documento con il quale dichiarano il proprio orientamento contrario (nel merito) al testo della riforma, affermano: “Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo”. E concludono ‘il manifesto’ così: “Se il referendum fosse indetto – come oggi si prevede – su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati”.
Non so quali insidie si nascondano dietro lo “spacchettamento” del referendum in più quesiti omogenei, ma, se dovesse servire a spostare anche solo un pochino l’attenzione mediatica dalle parole del Presidente del Consiglio/Segretario pd alle parole della Carta costituzionale, sarei d’accordo con i radicali italiani e il movimento 5stelle che lo sostengono. Chiudo citando una parte dell’intervento di Temistocle Martines in occasione di un dibattito di vent’anni fa, per l’appunto, sulle riforme costituzionali: “Sono fra gli ultimi romantici e difendo l’attuale Costituzione, che è una Costituzione ancora valida. La difendo perché non è vero che la Costituzione non ha funzionato; non è vero che bisogna modificarla perché non consente stabilità di governo. Questa stabilità in Italia non c’è stata perché il sistema dei partiti non l’ha consentito. E allora è il sistema dei partiti che semmai bisogna modificare, non già la Costituzione, che certamente non lo ha voluto così com’è adesso e non può quindi esserne ritenuta responsabile”.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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