Il fortore d’ovile passava sotto le porte. Quella mistura di fustagno che ha respirato anni di vapori del latte, di maglia di lana da cambiare dopo sette giorni, di braccia che cuociono insieme alla cagliata non muta odore con una doccia. Era arrivato, e si trattava di fare conoscenza. Entrò un omone più largo che alto, sui sessanta. Faccia rossa con strage di capillari intorno al naso, su bonette in mano a scoprire una testa calva che non ammetteva il sole, abito di velluto. Tra i bottoni della giacca c’era la distanza imposta da annate di vino cattivo e molta birra, infatti la cintura girava dallo spacco delle chiappe alla pelvi, lasciando libera la pancia che debordava.
-Già lo so perché mi ha chiamato, ma soldi non ne ho. -Come sarebbe “non ne ho”? Lei ha tanche, casa e bestiame. O ha regalato al primo che passa? – No. Ma facevo meglio a bruciare tutto che il risultato era lo stesso. Tanto non mi potete aiutare.
Le parole gli uscivano piano, a tono sommesso: sospirava prima di una frase e traduceva dal sardo; alzava lo sguardo a fatica, e gli occhi rivelavano una pena estrema. Non era questione di denaro.
– Insomma, vediamo di trovare un rimedio. Se uno lavora i soldi arrivano, e direi che lei lavora. – Lavorare già lavoro. Non so fare altro. La roba è mia, ancora, ma non ho più niente. – Guardi che si contraddice. Se la roba è sua come fa a non avere niente? Sua moglie non l’aiuta? Provi a spiegarsi meglio, se riesco a farmi un’idea posso cercare di venirle incontro. Lei ha chiesto il prestito per spese matrimoniali e migliorie in casa, immagino che la signora Semionova, che a quanto vedo non l’ha accompagnata, dia una mano con i lavori. – Ello! La questione è lei, proprio. – Cioè? – Va bene. Tempo ne ha? Allora mi ascolti, ma vostè mi promette che non lo dice a nessuno. – Le do la mia parola d’onore. – Quindi, io in tutta la vita ho conosciuto solo la campagna. A 8 anni ero già appresso alle pecore ché mio padre era morto, sparato, che aveva cose con gente di fuori. Allora mia madre mi ha mandato servo in un altro paese, che era meglio a cambiare aria, ma il padrone era più povero anche di me, e per quello non cercavano a lui e non trovavano a me. Mi dava pane e qualche cipolla, fave. Il latte lo succhiavo di nascosto dalle pecore. Come un animale ero, neanche le mutande. In paese non tornavo mai che era meglio. Però dopo 11 anni, quando hanno chiamato la leva, avevo 24 pecore mie, con gli agnelli, e le ho vendute perché tanto non avevo nessuno da affidarle. Con i soldi in banca, sotto le armi ero contento, a Sora. C’erano le lenzuola nel letto, mi alzavo tardi, mi lavavo, mangiavo molto e ho studiato fino alla quinta, che prima sapevo solo mettere la firma. E poi ho conosciuto le donne.
Dopo, quando sono tornato, ho ricomprato le pecore e piano piano ho riscattato il tancato di mio padre con l’ovile. La casa di paese era mia, con mia madre dentro. Ma comandava troppo e me ne stavo in campagna. Come un cinghiale ero, da solo senza andare in giro con nessuno, che non volevo storie con i carabinieri. Mungevo, facevo il formaggio, lo consegnavo e tornavo all’ovile con le provviste. Da un lato volevo così, ma questa solitudine mi ammazzava. Dopo venti , trent’anni soldi un poco ne avevo. Mia madre era morta e con la macchina tornavo in paese, ma senza una donna mi sbattevo la testa al muro. Per le donne, prima ero troppo povero, dopo ero troppo vecchio, e anche selvatico, altro che televisione! Ad ogni modo, ogni tanto si sapeva che al tal posto c’era una festa. Che poi non era una festa come pensa lei. Invece di andare in casino, il casino faceva un giro negli ovili, che uomini soli ce ne sono tanti. Allora pagavamo bene per il disturbo, e si continuava fino alla prossima, ma solo ero e solo rimanevo. Una volta è venuta questa Semionova, Ludmilla si chiamava, ma poi ho capito che nomi ne aveva 100. Al momento di coricare si mette a piangere, che voleva ammazzarsi, che le avevano portato via la figlia, che l’avevano sempre picchiata e non voleva fare quella vita. A me mi ha fatto pena, poi era anche bella. Era alta, bionda, le cosce lunghe. In paese così non ce n’erano, tutte col culo in cantina, e preziose che sembrava che ce l’avevano solo esse. Insomma, non l’ho toccata, le ho lasciato i soldi e le ho detto che poteva riparare da me. Poi avrebbe pensato a cosa voleva fare, dove voleva andare…
Dopo una settimana è tornata, con uno che si chiamava Oleg.
Mi hanno chiesto di far rimanere solo lei, che Oleg era un amico, non un magnaccio, e infatti non si è fermato e l’ha lasciata a casa mia. Io le ho detto che non c’era molto per una donna, che ero abituato a stare solo, ma se sapeva adattarsi… Allora mi ha baciato, un bacio che non finiva mai, ancora mi vengono i brividi, e mi ha detto che ero il primo che la trattava bene. A me, dottò, non mi avevano mai baciato così. Il sangue, al contrario mi girava. E insomma, io pensavo: cosa me ne importa se ha fatto la bagassa con gli altri? Dopo che mi ha conosciuto non ci è tornata. Bagassa o vergine, a me nessuna mi ha mai trattato così. E poi pensavo anche che qualcuna che sapevo io, vedendola, avrebbe fregato la mano in terra, se capisce cosa voglio dire. E dopo qualche giorno che era a casa, parlando, le ho detto che se voleva la cittadinanza la sposavo, ma poi ho capito che me l’aveva fatto dire lei.
Io in quel momento non capivo più niente, la volevo sposare veramente perché meglio non ero mai stato prima, con tutto che non si faceva toccare. Diceva che gli uomini ancora le facevano troppo schifo, e anche se mi voleva bene e mi ringraziava doveva stare all’asciutto per un po’ di tempo. Dopo sposati, sicuramente, figuriamoci… E io, solo che la vedevo, mi sembrava che il sole si accendeva solo per me, di quanto era bella, gentile, sorridente. Quando si metteva a letto sembrava un pennello, che aveva grazia anche a piegarsi. Se mi diceva che il miele è amaro ci credevo, ite cozzone! Allora siamo venuti da voi a chiedere quei soldi, abbiamo comprato mobili, televisione nuova, la biancheria, qualche vestito. Che poi la spesa era anche di più, e infatti avevo venduto 25 pecore in aggiunta. Siamo andati in Comune, che lei era ortodossa, e poi il prete mi sconsigliava, forse era geloso come quelle galline vecchie.
E’ venuto anche Oleg con altre due, ma che queste erano bagasse ce l’avevano scritto in fronte, solo che io mi sono fatto mettere in mezzo come un agnello da scannare. Comunque abbiamo mangiato e bevuto e loro hanno detto che se ne andavano, ecco il regalo, grazie che non dovevate disturbarvi, ci mancherebbe, tanti auguri eccetera. Al momento di andare a letto lei, Ludmilla, ha detto che andava a prepararsi, che doveva farsi forza e coraggio, e nel frattempo potevo scaldare il motore con la vodka che aveva lasciato Oleg, buona buonissima. Dottò, il motore non è partito e mi sono addormentato secco. C’era sonnifero. Mi hanno detto i carabinieri che Oleg è tornato di notte col furgone, hanno caricato tutto, ma tutto, e sono spariti. Poi ho sentito che lo facevano in molti posti, sempre così, e li hanno pizzicati in continente. Adesso l’ha capito dottò perché mi sono ridotto così? Perché la roba si ricompra, a poco a poco vi pago.
Ma anche l’amore mi ha rubato, e quello non si compra.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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