Mi è capitato un vecchio racconto di Donald Honig, “Man with a problem”, L’uomo con un problema. Fa parte di una copia da bancarella di rigattiere del Mistery Magazine di Alfred Hitchcock, una rivista fine anni Cinquanta dove il re del thriller selezionava le migliori storie del genere. E’ una cosa tra quelle strane e sfiziose alle quali ogni tanto attingo per farmi venire voglia con stimoli tutti personali di arricchire un po’ il mio povero Inglese. E’ un trucco ingegnoso, il plot e il ritmo di un racconto scelto da Hitchcock mi attizzano tanto che sono portato ad arrivare alla fine per vedere appunto come va a finire, e così imparo qualche vocabolo in più. Per il Francese utilizzo Maigret, ma ormai quei romanzi li conosco tutti a memoria. Comunque, Hitchcock molti dei racconti del Mistery Magazine li dava in pasto al suo serraglio di registi per la famosa serie di telefilm da lui presentati. Non so dire se anche quest’Uomo con un problema. Non ricordo di averlo mai visto in tv, ma ho dei dubbi perché trattava un genere che negli anni Cinquanta era spesso censurato insieme all’omosessualità e al linciaggio dei negri (tutte cose che in America c’erano ma di cui non bisognava parlare), cioè il suicidio. Ma questo è un suicidio alla Hitchcock, con tutto il rispetto per l’oscuro autore Donald Honig, che credo non abbia mai scritto nient’altro di interessante. Significa che non è un suicidio pietoso o lamentoso, raccapricciante o emblematico, malinconico o eclatante, come tutti i suicidi perbene. Questo è un suicidio malizioso, con gli occhi da diavolo, quelli che impari a disegnare mettendo gli angoli interni a contatto verso il basso, un suicidio con risatina maligna finale che non ti saresti mai aspettata. Parla di un tale che sale su un cornicione al 26 piano e attende che la folla si raduni sotto, con tanto di pompieri e polizia. La sua storia è quella di un marito che ama una moglie che non lo ama più. Gli ha detto che ha un altro uomo, che il loro matrimonio è finito, che se ne andrà via con Steve. Ma una sera Adams torna a casa e trova Karen morta sul letto. Accanto, un flacone vuoto di sonnifero e un biglietto che spiega tutto: Steve l’aveva ingannata, non poteva andare via con lei. E allora Adams sale su quel cornicione e tanti provano a farlo scendere dalla parte giusta, ma lui sembra dare retta soltanto a un poliziotto che, furbo e saggio, gli dice le cose giuste per convincerlo a desistere. Non gli chiede neppure quale sia la sua storia, lo spinge a odiare il pubblico raccolto lì sotto che attende il grande spettacolo del salto della morte: “Non dia loro questa soddisfazione”. Adams si convince, ma ha un mancamento, chiede al poliziotto di porgergli una mano per aiutarlo a lasciare il cornicione. Il poliziotto scavalca la finestra e afferra la mano di Adams, all’improvviso si sente a sua volta afferrato da un artiglio e Adams gli dice: “Ciao, Steve, sapevo che saresti venuto tu, è per questo che ho scelto questo cornicione, è la tua zona. Il mio vero nome non è Adams. Sai che Karen è morta?”. E prima che il poliziotto possa fare in tempo a provare orrore, uno strappo improvviso e il marciapiede che si avvicina. Perché ho fatto questo riassunto con commento? Un po’ perché durante le recenti polemiche sulla decadenza dell’Italiano molti hanno detto che dipende anche dal fatto che a scuola non si fanno più i riassunti. L’altro è che le mie ombre rosse si sono chieste, in questo nuovo capitolo della giunta romana, tra Raggi e Berdini chi è Adams e chi è Steve. Non mi hanno saputo dare una risposta. L’unica certezza è che Karen è Roma. Anzi, è l’Italia.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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