Il 13 giugno del 1997 morì a Roma Vittorio Mussolini. Io penso che la famiglia di Benito Mussolini sia uno dei migliori testimonial della superiore solidità della nostra democrazia. Di nessuno dei suoi membri si può dire che sia stato perseguitato dopo la rovinosa fine del capofamiglia. Sarà forse anche perché non era gente antipatica, qualcuno di loro persino simpatico e persino intelligente, come assicura Ruggero Zangrandi – compagno di scuola di Vittorio e antifascista dal 1939 – nel suo “Lungo viaggio attraverso il Fascismo”. Certo, se i ragazzi Mussolini fossero capitati nei pressi di piazzale Loreto nei giorni in cui si celebrava nel sangue il ricordo dei corpi dei partigiani fucilati pochi mesi prima e lasciati lì a marcire mentre fascisti e nazisti obbligavano armi alla mano i milanesi a guardarli, ecco, se si fossero fatti vedere mentre si compiva il noto e tremendo rito del riscatto e il corpo del padre era ancora sotto i tubolari del distributore di benzina, anche loro non se la sarebbero passata bene. Ma trascorsa quella beve temperie nessuno li cercò. Anzi, li cercarono soltanto i fascisti nella loro necrofila passione, alla caccia di un’ombra di mascelle volitive e di occhi che ora diresti tiroidei ma che allora erano dardeggianti. Ma non stiamo tanto a sfottere sul passato di mascelle, occhi e mani sui fianchi, che vedo ancora certe cronache di vacanze al mare o in montagna di capi di Governo e di Stato della democratica Italia che mi ricordano i cinegiornali Luce del Ventennio, con il Duce a torso nudo e calzoncini da bagno in lanetta sulla battigia di Riccione. Vittorio Mussolini era uno dei cinque figli di Benito e di Rachele Guidi. Di mestiere risultava sceneggiatore e produttore cinematografico, attività che non svolse alacremente e che nello stesso modo proseguì dopo la caduta del Regime usando lo pseudonimo anagrammato di Tito Silvio Mursino. Dopo la morte di suo padre, non ebbe alcun fastidio dal governo democratico. E il suo lungo soggiorno in Argentina fu del tutto volontario. Se anche fosse tornato prima del 1960 nessuno gli avrebbe torto un capello. Eppure non fu un figlio semplice, come a esempio Romano, ma un figlio graduato. Partecipò, aviatore insieme al fratello Bruno, alla guerra d’Etopia: in quella aviazione che bombardava un popolo indifeso, quasi disarmato e aggredito con armi chimiche. Appassionato di cinema, nel 1937 tentò di instaurare un legame dell’industria italiana con il mondo di Hollywood. Ma alla MGM neppure lo vollero ricevere. E durante la Repubblica di Salò, non si limitò a tenere la mano tremante al padre ormai spacciato, ma collaborò con arnesi sanguinari quali Farinacci e Pavolini. Insomma, ci sarebbe stato il tanto da considerarlo compromesso con il Regime indipendentemente dal cognome, ma a nessuno della Italia liberata e libera saltò in testa di chiedergli conto di qualcosa. Ai suoi funerali l’Aviazione dello Stato antifascista mandò persino un picchetto, dovutogli poiché ne era stato ufficiale. Così come nessuno perseguitò Rachele Mussolini o Edda Ciano Mussolini. Romano Mussolini girò in lungo e in largo l’Italia suonando musica jazz sul pianoforte. E sua figlia Alessandra Mussolini, che non perde occasione di citare nonno Benito, non può certo dire che il suo cognome le sia stato di impaccio. Direi il contrario. Di Romano ho un ricordo personale. Alcuni anni fa arrivò a Sassari. Ma non per suonare il pianoforte, bensì per presentare un libro, mi sembra sul Fascismo in Sardegna, scritto da un tale che non nascondeva le sue simpatie per quel regime. E sino a qui niente di illegittimo, se non il cattivo gusto di scegliere un musicista che non aveva conoscenze in merito e niente a che fare con l’argomento del libro se non il suo cognome. Ma il problema era che l’iniziativa godeva del patrocinio del Comune e della Provincia, all’epoca guidate da amministrazioni di destra. Allora sul mio giornale scrissi che Romano Mussolini poteva anche essere un simpatico jazzista, ma che se veniva qui ufficialmente in quanto fascista, gli amministratori locali, pubblici ufficiali di uno Stato fondato sull’antifascismo, dovevano starne fuori, a qualsiasi partito appartenessero. La critica non venne ascoltata a livello istituzionale, ma a livello popolare sì, tanto che la presentazione avvenne mentre fuori del locale rumoreggiava un folla piuttosto incazzata. Insomma, i Mussolini brava gente? Confesso che non ho mai studiato a fondo l’argomento, ma direi che hanno tenuto sostanzialmente un atteggiamento dignitoso e coerente. Più di tutti penso, la moglie Rachele e la figlia Edda. La prima sostenne in silenziosa dignità il dramma grottesco di un marito morto ed esposto al pubblico insieme a un’amante della quale Rachele, unica in Italia, ignorava sino a pochi mesi prima l’esistenza. Su Edda Ciano, moglie e compagna del traditore di suo padre e che suo padre fece uccidere, e sulla sua vita ritirata, fiera e decorosa insieme alla madre, ogni commento è superfluo. A disturbare il ritiro di questa gente furono soprattutto i fascisti. Come avvenne – leggo in un articolo di Repubblica firmato da Alessandra Longo – nel 1997 ai funerali di Vittorio. Ci fu la consueta parata di saluti romani, urla di “a noi” e tutto il resto dell’armamentario. All’uscita della chiesa un’anziana signora che passava lì e che neppure sapeva di quale cerimonia si trattasse, si indignò vedendo quelli in camicia nera e li apostrofò: “Assassini, vergognatevi!”. La risposta dimostrò che la signora non si sbagliava: “Ringrazia che sei vecchia, altrimenti ti taglieremmo la gola”. L’età non sarebbe stato un impedimento, comunque. I fascisti spesso hanno tagliato la gola anche ai vecchi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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