Ho pensato molto al peso che può avere una pistola. A quello culturale, storico, sociale. Perché anche la pistola, come il coltello, può avere effetti diversi, a seconda dell’uso che ne facciamo. Nella fondina di un poliziotto rappresenta sicurezza, nelle mani di un rapinatore è sintomo di paura. Una pistola. Con un peso fisico sostenibile e che diventa odio e amore, bianco e nero. Nessun colore. Da piccolo amavo le pistole. Nel senso che mi piaceva giocare agli indiani e ai cowboy e speravo che Babbo Natale me la portasse quella benedetta pistola a salve. Ma il mio Babbo Natale decise per le costruzioni e il trenino. Non ho mai, neppure sfiorato, una pistola vera. Non c’è una vera ragione. Ma non l’ho mai fatto. Soprattutto per pudore. E non è cultura o vigliaccheria. Crescendo ho amato le parole. Ecco, il problema è proprio questo: chi non sa argomentare, chi non riesce ad essere paziente, a rappresentare le proprie ragioni e provare a convincere della bontà delle proprie scelte, utilizza la pistola. La mette sul tavolo, la guarda e aspetta. Come tu usi le parole lui non finisce neppure di ascoltare. La sua arma colpisce in maniera veloce: bang, bang. Sono le urla che giungono fortissime nei comizi elettorali, sono le parolacce e le invettive nei vari social. Bang, bang. Si dovrebbero leggere tutti i post, sino alla fine. Bisognerebbe sentire tutto il discorso e non solo una parte. Bisognerebbe leggerli spesso i libri. Bang bang. Poi, le pistole, pian piano sono come sparite. Sono apparsi i cellulari. I bambini chiedono quello a babbo natale e vengono accontentati. Camminano tronfi con la loro arma, si fanno le foto, chattano, scrivono maisucolo per urlare, mettono emoticon per sorridere. Ma non parlano. Poi vanno a scuola e quando un professore sequestra il telefono, il genitore, quel Babbo Natale mal cresciuto, si presenta con l’avvocato. C’è qualcosa che non quadra in queste storie di pistole e di cellulari. Probabilmente il loro utilizzo come armi improprie, come soluzioni possibili all’esistenza, per essere presenti forzatamente sul palcoscenico della realtà. Senza parlare e senza ascoltare. Bang Bang. Mi sa che la colpa di queste strane storie è di Babbo Natale. Dovremmo partire da quelle letterine per capire i silenzi dell’anima.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Camminare sul mare. (di Giampaolo Cassitta)
31 luglio 1979, in mezzo al mare nasce Andrea (di Francesco Giorgioni)
Temo le balle più dei cannoni (di Cosimo Filigheddu)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Elisa o il duo Mamhood &Blanco? (di Giampaolo Cassitta)
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Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
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