Le origini dello Stato Islamico sono lontane e le vicende che hanno portato all’attuale composizione architettonica di quello che viene definito “totalitarismo effimero”, complicate, tortuose e, quasi spesso, inaccessibili per chi non ha pratica con basilari elementi di cultura (e lingua) mediorientale.
Luca Foschi è riuscito in questa impresa e in un saggio molto denso (Lo Stato islamico. Cronaca di un totalitarismo effimero) ha ricostruito il lungo e intricato percorso. Complicato perché trattasi di società a statuto tribale e con variabili geometrie di alleanze interne e/o con forze esterne. Complicato per le radici religiose di un arcipelago di formazioni impossibili a declinarsi nella semplice frapposizione sunnita/sciita. Complicato per l’intrecciarsi delle sue vicende con quelle degli spazi sociali, economici e statuali che ne hanno – loro malgrado/a loro vantaggio – ospitato le gesta. Complicato per la banale declinazione dell’anagrafe dei principali protagonisti; basti per tutti un esempio, il vero nome dell’auto-proclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi: Abu Du’a Ibrahim bin Awwad bin Ibrahim al-Badri al-Radhwi al-Husseini al Samarrai (sic..!).
Comunque è un saggio da leggere, pur nella prosa a volte attorcigliata che, gioco forza, segue le contorsioni delle vicende dell’IS.
E’ da leggere perché mette bene in evidenza le ragioni delle lontane fondamenta genetiche dello Stato Islamico, declinate nella incredibile storia di al-Zarkawi e del suo complicato rapporto con Bin Laden. Zarkawi fondò l’AQUI, al Qaeda in Iraq, da cui molto ebbe inizio, in una delicata tessitura di rapporti con tribù immerse in regioni e ragioni di tipo clanico e in lotta con dimensioni statuali locali e Occidentali.
E’ da leggere perché mette a nudo il racconto mitologico della propaganda religiosa jiadista allorquando i loro leader e la gerarchia organizzativa deve ottemperare ad una delle funzioni fondamentali per qualsiasi organizzazione: la propria sopravvivenza. Le possibilità e gli ambiti da cui provengono le risorse economiche per la riproduzione di questa organizzazione sono di diverso tipo: petrolio, contrabbando, tasse e balzelli locali ma, soprattutto, le classiche leve di tipo predatorio, furti e appropriazione di valori in spazi territoriali conquistati con la violenza.
Solo in ragione della risorsa petrolifera, il controllo di 300 pozzi di greggio e il suo contrabbando sono capaci di generare circa 2 milioni di introiti al giorno. La presa di MOsul e la razzia della sua Banca Centrale porta in cassa 429 milioni di dollari più una quantità ancora oggi sconosciuta di valore derivante dalla sottrazione di lingotti d’oro.Le vie del contrabbando di petrolio attraversano sei siti iracheni, il Kurdistan iracheno, la Turchia e l’Iran. Al contrabbando di petrolio si aggiunge anche quello di reperti archeologici, a cui contribuisce attivamente l’opportunistica voracità di collezionisti occidentali. Infine, il traffico dei veicoli è monitorato nelle frontiere con pagamenti di balzelli che variano dai 50 ai 400 dollari a veicolo, a seconda della tipologia della merce trasportata. Insomma.. una miniera d’oro spesso ingrassata da intenzionali finanziamenti delle potenze straniere in un gioco di alleanze a geometria variabile.
L’apporto delle potenze statuali occidentali non si declina solo nella costruzione della solidità finanziaria dello Stato Islamico. A questo bisogna aggiungere il supporto militare fatto di armi e addestramento delle unità combattenti: si parla di circa 200mila uomini ben addestrati. Uomini che spesso fanno paura anche ad eserciti abituati da decenni al confronto bellico: a Mosul, Tikrit e Kirkuk (aree di fondamentale interesse economico-petrolifero) i generali irakeni e le loro truppe fuggono senza combattere. L’esercito iracheno, per cui si spendono circa 20 miliardi di dollari all’anno, fugge senza combattere…
Ma il saggio è importante anche per la capacità di descrivere le fondamenta religiose (o le sue storture) dello Stato islamico, come anche la reazione – mai troppo ricordata sui media – delle componenti istituzionali dell’Islam moderato. Nel settembre del 2014 in una lettera di 18 pagine firmate da 120 studiosi musulmani provenienti da tutto il mondo si elencano in 24 punti i divieti infranti dalla “barbarica condotta” del popolo califfale: “la pretestuosa lettura dei testi sacri, il jiad offensivo, l’uccisone di innocenti, la forzosa conversione di cristiani, yazidi e sciiti, la reintroduzione della schiavitù e l’umiliazione delle donne, la distruzione dei luoghi sacri, l’involontario nazionalismo e la stessa proclamazione del califfato vengono condannati come alieni alla religione islamica”.
Ecco, in un’ottica di pacifica convivenza di appartenenze spirituali, mai come ora è importante regalare al vasto pubblico informazioni fondate su ciò che sta accadendo alle porte di casa, sulla storia di certe organizzazioni, sulle architetture interne, sulle risorse materiali e simboliche utilizzate, le alleanze ma, soprattutto, su come certi sanguinosi estremismi siano culturalmente e civilmente combattuti da chi adagia il proprio animo su religioni troppo spesso facilmente svilite e confuse con chi le manipola a proprio uso e nefasto consumo. Ed è un discorso che, a mio parere, deve essere applicato anche a certi estremismi “laici”.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Il viale dell’Asinara. (di Giampaolo Cassitta)
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