Ecco la libreria di Marcellino. Nel cuore della mia Alghero. Da anni al solito posto, lui con i soliti baffi dentro il suo solito sorriso lineare. Ha cominciato dentro lotta continua. Poi a vendere, nelle feste dell’Unità, i libri di Feltrinelli. Proponeva l’acquisto a rate. Diecimila al mese e ti portavi a casa la biografia di Che Guevara, il capitale di Marx, la storia di Garabonbo l’invisibile, Omosessualità.
Libri che si acquistavano e non si leggevano ma dovevano esserci – obbligatoriamente – dentro la libreria del perfetto compagno. Lo saluto che è impegnato al telefono, come sempre. Per parlare con Marcellino ci si deve incontrare il mattino molto presto. Lui vive, praticamente, sempre in libreria. Sino alle due di notte. Almeno d’estate. Ha sempre un consiglio da regalare e un libro da vivisezionare. La sua libreria mi accoglie come un lettore dolcemente consumato. I libri hanno occhi che solo chi legge riesce a percepire. E hanno storie che si animano solo con i nostri occhi. Lo stesso libro ha miriadi di occhi diversi. A volte ho acquistato dei libri solo perché ero attratto dal titolo o dal colore della copertina o perché leggevo un piccolo riassunto nel risvolto o la tenera biografia dello scrittore. Ho acquistato libri in base alla lunghezza delle pagine, della consistenza della carta, per la disposizione dei capitoli e dai titoli che venivano inseriti. A volte, per eccesso di civetteria, non ho acquistato libri dove non compariva l’indice – che in un romanzo è completamente inutile – ma era, almeno per me, una sorta di sicurezza, di cortesia galante che l’editore regalava al suo lettore. Sembrava di essere trattato come un cliente esigente, attento, mi pareva che quel libro fosse solo ed esclusivamente mio, che quel racconto fosse un rapporto intimo a tre persone: lo scrittore, il lettore e il venditore che lo infiocchettava, aggiungendoci un indice inutile ma bello. A volte ho acquistato dei libri in base alle dediche che gli scrittori – non tutti, in verità – usano porre all’inizio del lavoro e, scegliere un libro da questo primo incipit, non è semplicissimo. Eliminati i classici – ai genitori, alla moglie e ai figli – le varie dediche che si trovano, quasi sempre, nel romanzo d’esordio e quindi non valutabile sotto il profilo sostanziale, è difficile capire e carpire l’entità e la bellezza della dedica. Perché si sente l’esigenza di frapporre tra il “Lui” che scrive e il “lui” che legge un’entità astratta, conosciuta da chi scrive ma, il più delle volte, sconosciuta ai lettori? Che senso velato nasconde questa che tutti pensano sia una semplice operazione? Quale è il movente? direbbe il mio vecchio Procuratore. Chi si nasconde o cosa si nasconde dietro “A Maurizio, che non sa aspettare”; “ai giorni occulti dei ricordi astrali”; “a Fiorenzo che non c’è ma sentirà le voci”; “alla mia terra che sa raccogliere le lacrime”; “a chi costruisce, senza saperlo, dolci carezze”; “al rude sorriso di una donna ancora troppo sola”. Come si possono acquistare dei libri che hanno, fin dalla sua dedica, un vero e proprio manifesto programmatico o addirittura politico? Maurizio, quello che non sa aspettare, se lo leggerà da solo quel maledetto libro oppure in dolce compagnia e, soprattutto, come lo leggerà? Dimenticherà le virgole, i punti, i periodi i capitoli le pagine per arrivare alla fine? Perché non sa aspettare? Arriva sempre in anticipo o non ha il senso del tempo? Quali sono i giorni occulti dei nostri ricordi astrali? Se sono occulti nessuno li conosce, neppure a quelle persone per il quale il libro sembra dedicato. Come sarà e quanto sarà rude questo sorriso della donna ancora troppo sola? Dalla dedica sembrerebbe un libro sulla solitudine o sulla lentezza o sull’abbandono. A chi dovremmo chiedere spiegazioni. Al dedicato o al dedicante? Marcellino è adesso impegnato con due turisti e mentre mi abbandono a scrutare dediche nuove, un piccolo impulso squarcia il silenzio. Sms in arrivo. Sul display il nome Gianvittorio mi distolse dalla lettura. “Fra un’ora. Bar 76”. Saluto Marcellino che velocemente mi sorride. “Aspetta, ho un libro da proporti” . Dice sempre così. Da sempre. Dopo aver abbandonato i turisti che hanno acquistato una guida culinaria sulla Sardegna – Dio come amo queste cose – Marcellino si avvicina, piccola piroetta dentro il banco delle novità e tira fuori un libro che non è mai stato recensito da nessuno e, probabilmente non avrà mai nessuno che si occuperà di lui. Marcellino li chiama “orfanelli da adottare”. Chiaramente i genitori sono quasi sempre gli stessi e, tra quelli, io rappresento colui che ha adottato il meglio e il peggio proposto. “Non tutti i figli danno le medesime soddisfazioni, ma sono figli”, dice Marcellino mentre mi porge il libro. “Certo che il tuo è accanimento terapeutico nei miei confronti”. “Claudio, ti conosco da quando venivi a leggere “Come si fa controcultura” di quel filosofo francese che poi, dopo anni, qualcuno ebbe il coraggio di abbandonare al suo stupido destino”. “Non era male. Aveva un’idea, tutto sommato rivoluzionaria del mondo”. “Peccato girasse con auto carissime e vivesse, praticamente negli hotel”. “Molto rivoluzionario, appunto”. “E comunque, quel libro tu lo rubasti”. “Nego categoricamente”. “Non negare. Adesso ti vergogni. Ma siete stati tu e Gianvittorio. Tu parlavi con me e lui, di soppiatto, si nascondeva il libro sotto il maglione. I rivoluzionari che rubavano ad un compagno di Lotta continua”. Non so cosa rispondere. Tira fuori sempre questa storia e la tira quando decide che devo acquistare, senza discussione i libri che lui ha deciso di farmi leggere; meglio, quando decide che devo adottare un orfano. “Va bene. Paghiamo la rata del furto. Cosa devo leggere?” “Un libro orribile”, dice Marcellino “orribile e bellissimo”. “Lo hai scritto tu?” dico con stupido sarcasmo. “I librai non scrivono. Non che non ne siano capaci, ma hanno letto troppe storie e sono sazi. Attendono, con occulta sapienza altre parole da leggere e da miscelare ai contorni della vita. Noi presentiamo la storia, la adottiamo, la facciamo amare; noi siamo i confidenti, le spie buone degli scrittori, siamo il piccolo passaggio tra la parola e l’immagine, ma non possiamo scrivere. Non sarebbe neppure giusto”. “Eppure dovresti farlo. Hai della stoffa”, dico mentre tento di capire che libro dalla storia orribile possa avere in mano Marcellino. “Ad ognuno il suo mestiere e quello di libraio è bello due volte.” “Perché?” dico io “Ha il piacere di leggere il libro gratuitamente e la bellezza di poterlo presentare ad un’altra persona. Due regali che, in entrambi i casi, ti emozionano”. Marcellino. Che era di lotta continua perché amava le storie piccole e la gente che sudava e aveva voglia di cambiarlo questo strano mondo. Di cambiarlo davvero. E continua a leggere e proporre, a vendere “libri orfani” con la stessa autorevolezza di un presidente dell’Onu. E con la stessa serietà. “Allora, questo libro da adottare?” “Lo hai già letto” “E allora che me ne faccio?” “E’ stato ristampato. Ma scritto da un altro autore”. Ha uno sguardo misterioso e, nello stesso tempo intrigante. Come sempre. Da sempre. “Lo stesso libro non può avere più autori”. “Questo lo dici tu, magistrato perfettino, innamorato della giustizia e delle regole e del tutto deve essere in ordine, nel tuo ordine chiaramente”. Comincia a non piacermi questa strana discussione. “Va bene. Dimmi il titolo e l’autore, caro il mio comunista disordinato,” dico con una piccola punta di sarcasmo. “Niente dibattito eh? Eppure una volta, quando facevi la radio ci vivevi con i dibattiti” “E’ passato del tempo. Forse troppo” “Certo. E non sappiamo più gestirlo il tempo che ci manca. Comunque. Un lettore ha riscritto un libro, perché non gli piacevano certi passaggi e non gli piaceva, soprattutto, il finale.” “Bene, stiamo dentro un libro di Stephen King allora.” “Non precisamente. Quel lettore, in realtà, si era decisamente scocciato di leggere e rileggere un libro che, di fatto non si concludeva, non aveva un finale canonico, appagante”. Riesco ad intravvedere tra le mani di Marcellino il titolo del libro e solo allora capisco. “Adotto il tuo libro”, dico “anche se l’ho adottato da tempo e, probabilmente, anche io avrei riscritto il finale. Ma non l’ho fatto. Forse per mancanza di coraggio, forse perché un libro rappresenta qualcosa di mistico e di intoccabile, forse per rispetto all’autore e, se vogliamo al libraio. Il libro si può anche abbandonare, bruciare e si ha il diritto di criticarlo. Ma non si può riscriverlo.” Mi impacchetta il volume e capisce che non c’è più spazio per le parole. Solo per i saluti. “Al prossimo libro” dico io. “Alla prossima adozione” risponde Marcellino sorridendo, mentre esco per avvicinarmi alla mia dolce passeggiata sul mare di Alghero. La mia passeggiata. Con un libro in mano. C’è della follia nei lettori. E nei librai e negli scrittori. C’è della follia a credere alle parole, penso respirando questo mare estivo. C’è della sana e bellissima follia, dico quasi a voce alta mentre comincio a leggere le prime pagine del “processo” di Kafka e capisco che Marcellino scherzava. Non era un orfano sconosciuto. E’ l’originale, ma con una piccola dedica: “L’avrei cambiata volentieri questa storia, per dimostrare che in questo paese le cose vanno diversamente. Ma non ci sono riuscito. I libri, d’altronde, sono solo grandi scenari che giocano dentro mondi dolci, orribili, disincantati, fantastici e noi ci navighiamo dentro. Rileggendolo prova, da giudice, a cambiare almeno la realtà. Questo, grazie ad un libro si può fare.Marcellino. Il libraio.” Marcellino. Che vende libri. E li sa capire.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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