Nel calcio, novanta volte su cento i più forti vincono. Ieri la regola è stata rispettata, il Barcellona siderale ha sconfitto la Juventus e si è portata a casa la Champion’s League. Però la partita è stata una partita vera e il sogno della Juventus e di noi tifosi è rimasto vivo fino a venti minuti dalla fine. La montagna azulgrana, data per inaccessibile, ad un certo punto è sembrata una vetta meno remota di quel che si pensasse. Perché il pronostico scontato, ad un certo punto della partita, è stato molto più che in discussione. Il Barcellona barcollava e i lampi dei suoi geni sembravano offuscati dalla tenacia e dalla corsa dei guerrieri bianconeri, rinvigoriti nel morale dal pareggio di Morata, dopo un primo tempo di sofferenza inenarrabile. Se dovessi accostare questa partita ad un’altra, direi Brasile-Italia, finale Coppa Rimet del 1970: Pelé che porta in vantaggio le maglie dorate, la rimonta di Boninsegna, gli azzurri che sembrano potersela giocare ma poi crollano, soverchiati dalla classe senza appello di una nazionale come poche altre se ne sono viste nella storia del football. Ecco, questo Barcellona a me ricorda il Brasile del 1970: non ero nato nel 1970, ma le partite di quel mondiale le ho viste tutte. Talenti soprannaturali, in grado coi loro tocchi di sovvertire le leggi della fisica, una convinzione di invincibilità pienamente giustificata.
Tre minuti sono bastati a Rakitjc per centrare la porta di Buffon: cambio di gioco, palla a Neymar defilato sulla sinistra, poi sviluppo in orizzontale e inserimento a fari spenti del biondissimo slavo. Sembrava la prima coltellata di un massacro inevitabile. Il Barça giocava a flipper mandando la palla da un lato all’altro del campo per allargare le maglie della difesa della Juve, ogni imbucata pareva poter mettere uno dei tre attaccanti solo davanti al portiere. Morata sembrava poter spaventare Piqué e Mascherano, coi suoi sprint da motore da corsa, ma al momento di colpire la porta avversaria sembrava sempre troppo piccola e lontana. Il guerriero Vidal, in mezzo al campo, tirava calci a chiunque, calci come sciabolate ai giocolieri targati Qatar. Gente che la palla te la nasconde e, quando affondi il colpo, lo affondi sempre con un decimo di secondo di ritardo. Il Barcellona è sembrato quasi non voler infierire, forte e consapevole della sua superiorità. Ma non ha chiuso la pratica. Il giocatore più forte del mondo passeggiava, ogni tanto provava una delle sue serpentine ma senza troppa voglia di decidere. È così il primo tempo è finito solo sullo 0-1. Scorrendo i post su Facebook, leggevo scetticismo: rassegnato dagli juventini come me, sferzante dall’altra metà dell’Italia schierata contro la Vecchia Signora. Qualcuno proponeva di chiudere la partita per manifesta superiorità del Barça e, in effetti, ne aveva tutte le ragioni. Ma poi la musica è cambiata. Tacco di Marchisio, sovrapposizione di Lichsteiner, palla arpionata a centro area da Tevez e staffilata in porta, respinta del portiere e palla buttata nel sacco dal madridista Morata, mascherato da Paolo Rossi. È in quel momento che la Juventus ha pensato che la montagna si potesse scalare. Pogba ha iniziato a correre come un cavallo di razza, Evra ha alzato il suo raggio d’azione, pur con i ritmi di un giocatore al tramonto Pirlo ha ripreso il controllo del centrocampo. E ho visto il Barcellona in affanno. La squadra più forte del mondo, sorpresa da una reazione insospettabile, qualche volta ha dovuto scaraventare la palla in tribuna. Ma, ora, tornate all’inizio di questo post. La forza, il talento e la classe nel calcio emergono sempre. Muscoli, volontà e qualità regalate dalla natura decidono i destini delle contese sul prato verde. E così è stato ieri, alla fine. Giustamente, perché i più forti hanno vinto. Giusto è stato il fair play finale, indimenticabile sarà l’abbraccio dopo il triplice fischio tra Xavi e Andrea Pirlo, le cui lacrime stavolta avevano un sapore diverso rispetto a quelle versate nel 2006, nello stesso stadio. Ha poco da rimpiangere, questo grande architetto del calcio nostrano: ha vinto tutto e, quando ha perso, ha perso con onore. Come stasera.
Io, tifoso juventino, sono sconfitto ma non deluso. Riconosco la forza superiore di avversari irraggiungibili, ma la squadra per la quale tifo ha onorato l’impegno giocandolo al massimo delle proprie possibilità. Infine, una volta di più, val la pena di ricordare che non è successo nulla di serio. È stata solo una partita di calcio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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