Il marito 80 enne visita la moglie tenuta in vita dalle macchine. I medici non danno nessuna speranza. L’uomo si uccide e dopo un’ora muore anche la moglie. (La Nuova Sardegna, 25 novembre 2015)
Ha ascoltato in quel silenzio metafisico che sa raccogliere il dolore. Deve essere stato immenso e straziante. Quella che è stata la sua compagna di una vita lo avrebbe, di li a poco, abbandonato. Non poteva pensare ad una vita solitaria, non poteva credere che quella donna non potesse più parlargli, non potesse più sorridergli, non potesse più litigare con lui. Ha atteso in quel silenzio che sa costruire solo l’attesa e ha ascoltato quello che i medici cercavano di addolcire, parole rotonde per un responso tutto di angoli acuti. La vita finisce, siamo al capolinea. Dobbiamo staccare la spina. Come se fosse facile, come se fosse tutto programmabile, come se fosse tutto armonico in un pentagramma dove non ci sono più le note. Ha aspettato un segno tangibile che non è arrivato. È apparso tranquillo, quasi riposato. Ha deposto tutta la forza che in questi mesi aveva riversato per la causa. Avrebbero staccato la spina alla sua compagna. La compagna di una vita. Ha camminato in quel frastuono che sa costruire una strada, ma non ha sentito. Non ha voluto più sentire. Non sentiva le parole, i suoni, non sentiva le lacrime che lo devastavano dentro. Ha deciso di accompagnare la sua compagna, insieme nell’ultimo tratto, ad osservare il tramonto di un’esistenza che era arrivata al capolinea. Lui, ottant’anni e un cuore immenso, lei settantotto anni, devastata dal tumore. Lei divorata dalla malattia, entrambi dall’amore. Lui non poteva restare a contemplare più nulla, in nessuna panchina. Non poteva sopportare che il destino avesse scelto per lui. Ha deciso di non lasciarla sola. Ha preso il biglietto per quel treno eterno di sola andata. Non poteva abbandonarla. Per tenerezza, per amore, perché la vita aveva un senso e aveva un unico volto: quello della sua compagna. Dicono sia il vento ad armonizzare le colline, a rendere tutto più fluido, più docile. La pioggia, invece, appallottola strade e sentieri e li unisce. Tutto si respira e tutto serve a ricordare, ad unire. Si giunge al tramonto della vita e si resta in attesa di qualcosa di dolce, anche un fremito, un attimo. Sono andati via, mano nella mano, come un film sdolcinato, come una canzone semplice e scontata. Due vite innamorate da una vita. Due vecchi, si direbbe, ma con un cuore giovanissimo e intenso.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
Un rider non si guarda in faccia (di Cosimo Filigheddu)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Ciao a Franco dei “ricchi e poveri”. (di Giampaolo Cassitta)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design